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A 16 mesi dal suo ingresso alla Casa Rosada, il primo sciopero generale contro la politica economica del presidente Mauricio Macri ha paralizzato lo scorso 6 aprile, giovedì, per 24 ore l’Argentina, in un clima di forti tensioni che non hanno però dato luogo a incidenti di particolare gravità. Nella vicenda politica nazionale gli scioperi generali costituiscono di fatto altrettanti shock per la stabilità dei governi.

Questo potrebbe inoltre non essere l’ultimo, poiché in assenza di un dialogo soddisfacente i sindacati minacciano di intensificare la loro protesta. Ma sebbene un’intesa si presenti difficile, per gli scarsi margini lasciati dalla priorità data dal governo al riequilibrio dei conti pubblici su quello della capacità d’acquisto dei salari divorati dall’inflazione, quanto meno a parole nessuno esclude la possibilità di una trattativa.

La mobilitazione promossa dalle organizzazioni sindacali, dalla storica Confederazione Generale del Lavoro (CGT), di origine peronista e corporativa, all’associazionismo di base con alla testa quello dei Lavoratori dello Stato (ATE), accompagnata dall’adesione di una miriade di piccole imprese e commercianti, ha fotografato l’ampiezza del malessere. Il rallentamento dell’economia e dei consumi è palpabile.

Sotto accusa sono l’assenza di un piano di rilancio dell’industria, colpita pesantemente dalla concorrenza delle merci importate in gran quantità proprio nel momento in cui i suoi costi di produzione risultano aggravati dall’aumento delle tariffe e dall’inflazione; e i favori fiscali concessi in cambio all’agricoltura, d’indubbia importanza nell’economia argentina, ma non in grado di creare i posti di lavoro necessari almeno per contenere la crescente disoccupazione.

Il punto di rottura è stato determinato dalla risolutezza del governo a non concedere aumenti di salario superiori al 18 per cento, per non alimentare la spirale inflazionistica che però negli ultimi 2 anni ha superato il 40. Anche perché il Presidente ha deciso di adeguare di colpo le tariffe dei servizi pubblici (elettricità, gas, acqua, trasporti) in precedenza sussidiati fortemente dallo stato, con conseguenti aumenti fino al 600 per cento.

I sindacati sostengono che l’intransigenza del governo non è dettata esclusivamente da preoccupazioni di bilancio, bensì da pregiudizi ideologici, dall’eccessiva fede nelle capacità riequilibratrici del mercato affermata dalle teorie neoliberiste e in realtà mai comprovata. Il presidente Macri attribuisce a sua volta al sindacato la responsabilità aver ceduto a oscure pressioni dell’opposizione più vicina al governo precedente.

All’ex presidente Cristina Kirchner e ai suoi più stretti sostenitori, accusati di arricchimento illecito oltre che di demagogia populista, viene neanche tanto implicitamente attribuito un intento eversivo: esasperare sempre di più la piazza scontenta per provocare la destabilizzazione del governo per spingerlo alle dimissioni. Un intento ancora ieri smentito a più voci e in ogni dichiarazione da tutte le dirigenze sindacali, che vi leggono una strumentalizzazione tanto interessata quanto inconsistente.

www.ildiavolononmuoremai.it

Argentina, la sfida tra governo e sindacati è aperta

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