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Il recente summit dei Brics in Russia ha offerto alcuni spunti interessanti per un’analisi dell’evoluzione del sistema internazionale. Dietro l’apparente “caos” in cui si trova il mondo (per usare l’espressione usata a Kazan dal presidente cinese Xi Jinping), si sta configurando un “assetto tripolare”, destinato a consolidarsi nei prossimi anni.

Considerando i classici indicatori di potenza (prodotto interno lordo, spesa e capacità d’innovazione nel settore tecnologico e militare, fattori demografici, risorse naturali, eccetera), un primo blocco di Paesi ruota attorno agli Stati Uniti e alle nazioni alleate (G7, quasi tutti i Paesi dell’Unione europea e della Nato, Svizzera, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Israele e altre nazioni asiatiche). In sostanza, mi riferisco a ciò che sul piano giornalistico si definisce – sebbene impropriamente – “Occidente”.

Il secondo polo ruota attorno alla Cina e include Russia, Iran, Bielorussia, Siria, Venezuela, Corea del Nord, Cambogia, Laos, Cuba e altri Paesi minori. Il tratto comune di queste nazioni è l’accentuarsi, nell’ultimo decennio, del carattere autoritario dei loro regimi politici e di una postura più aggressiva nelle loro politiche estere.

Il terzo polo, più numeroso ed eterogeneo, è composto da India, Brasile, Argentina, Turchia, Arabia Saudita, Sud Africa, Nigeria, Pakistan, Vietnam, Indonesia, Etiopia, Egitto, Algeria, Marocco, Kazakistan, Messico e molti altri Stati. Potremmo definire questo gruppo come quello dei “Paesi doppiamente allineati”, in quanto mantengono relazioni rilevanti sia con gli Stati Uniti che con la Cina e/o i Paesi appartenenti ai primi due blocchi. Esempi emblematici di questo terzo raggruppamento sono la Turchia (membro della Nato), l’Ungheria (membro dell’Union europea) e l’India, che, sul piano militare, partecipa al Quad insieme a Stati Uniti, Australia e Giappone e, su quello energetico, è strettamente legata alla Russia.

L’assetto tripolare di cui parlo riflette la realtà internazionale in divenire, contrastando la narrazione duale tra “Occidente” e “Global South” tanto sbandierata dal presidente russo Vladimir Putin a Kazan. Mentre i primi due blocchi sono caratterizzati dalla predominanza di un soggetto forte – gli Stati Uniti, terzi al mondo per capacità d’innovazione nella classifica WIPO 2024, e la Cina, undicesima nella stessa graduatoria – il terzo raggruppamento è privo di una singola potenza egemone, un aspetto che aumenta la libertà di movimento dei suoi membri. Questo punto è evidente nell’atteggiamento da “free rider” di alcuni Paesi del terzo blocco che partecipano al G20, come Turchia, Indonesia e Arabia Saudita. Di quest’ultima è emblematica la nota piuttosto asettica diffusa in risposta all’attacco all’Iran.

Indipendentemente dall’esito delle elezioni americane, è imperativo che Stati Uniti, Unione europea e G7 analizzino con attenzione le posizioni politiche e il ruolo economico delle nazioni del terzo blocco. Inoltre, sarebbe auspicabile che questi attori adottino un approccio coordinato in politica estera, in ambito economico, militare e in questioni di dialogo interculturale e diplomazia pubblica, come indicato ieri su Formiche.net dall’ambasciatore Giovanni Castellaneta.

La lunga dichiarazione dei Brics a Kazan, articolata in ben 134 paragrafi, dimostra che la partita resta aperta e che sarebbe un errore lasciare campo libero alla Cina e alla Russia su temi fondamentali discussi al summit, come il rilancio del multilateralismo, la riforma delle Nazioni Unite (oggi in una crisi profonda), la lotta contro le diseguaglianze e la povertà, il contrasto al cambiamento climatico e la tutela della salute globale.

In questo contesto, il fatto che dopo due anni e mezzo di guerra in Ucraina la Russia di Putin sia costretta a reclutare 12.000 soldati dalla Corea del Nord è un segno di debolezza e pone problemi inediti a Pechino.

Ma è soprattutto la recente crisi economica della Cina, segnalata dall’Economist, a meritare attenzione. Questa crisi rischia di creare problemi non solo ai membri dei Brics ma anche all’economia globale. I dati più allarmanti sono la caduta degli unicorni cinesi tra il 2021 e il 2024 e la persistente diffidenza dei grandi investitori stranieri nei confronti della Cina, che non sembra aver realmente avviato la tanto proclamata politica di “opening up”. Si tende spesso a dimenticare che, nel terzo raggruppamento dei “Paesi doppiamente allineati”, sono incluse grandi democrazie come India, Brasile, Argentina, Indonesia e Sud Africa.

Per l’Unione europea e la nuova Commissione, questa è una sfida completamente nuova: è necessario abbandonare la visione eurocentrica e chiusa dell’“Europa Fortezza” e proiettarsi in una dimensione globale, come suggerito dal rapporto Draghi. Non è escluso che, in futuro, il gruppo dei “Paesi doppiamente allineati” possa ambire a giocare il ruolo di “ago della bilancia” nei futuri equilibri mondiali. Quando i Brics a Kazan ribadiscono la centralità del Fondo monetario internazionale e dell’Organizzazione mondiale del commercio e ne invocano una riforma, perché non iniziare subito a elaborare proposte concrete per realizzare questi obiettivi? Come ha sottolineato l’ambasciatore Castellaneta, la scorsa settimana a Kazan, Putin ha avuto il suo momento mediatico, ma appartiene già al recente passato. Ora, ciò che conta davvero per le diplomazie delle nazioni democratiche è prepararsi alle sfide che la presidenza brasiliana dei Brics per il 2025 lancerà. Se non ora, quando?

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