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Difendere le Assicurazioni Generali dai colossi stranieri, è questo l’ultimo tassello sovranista del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo che, con un post pubblicato lo scorso 30 gennaio, ha preso posizione sulla contesa che vede il Leone di Trieste nel mirino, tra gli altri, dei francesi di Axa. I risparmi italiani non devono finire in mano straniera, dunque, ma devono restare italiani e il governo deve agire per tutelare questa “eccellenza italiana”.

Una linea di pensiero sovranista, dunque, coerente con quanto previsto per le cosiddette “aziende strategiche italiane” (comeTerna) che, secondo Grillo, dovrebbero essere controllate dallo Stato, se non completamente nazionalizzate.

SALVARE LE ASSICURAZIONI GENERALI

“Assicurazioni Generali, è a rischio di scippo da parte di investitori stranieri”, si legge sul post intitolato “Chiudiamo l’outlet Italia: difendiamo Generali dalle mani straniere”. In questi termini viene letta, dal Movimento 5 stelle, la “partita che si sta giocando ai piani alti della finanza italiana dove Intesa San Paolo e Mediobanca si sfidano sul terreno del Leone di Trieste”.

“Generali – si legge ancora – è una delle eccellenze italiane di caratura internazionale, è presente in 60 paesi con 470 società e quasi 80 mila dipendenti. Un patrimonio da 74 miliardi di premi, costituiti da polizze a monte delle quali ruotano 90 miliardi di titoli del debito pubblico italiano, e un totale di 500 miliardi di attivi gestiti. Il risparmio di diverse generazioni di italiani è in sostanza custodito nella cassaforte di Trieste”.

La debolezza italiana, si legge nel post, sarebbe dovuta alla “fatica dell’euro” che “indebolisce il nostro tessuto economico e crea le opportunità di shopping per il più forte, di solito estero”, in questo caso francese. “E il nostro governo cosa fa – ci si chiede nel post -? Ancora una volta starà a guardare di fronte all’affronto dei francesi?”.

Secondo Grillo, “cedere la sovranità anche nella gestione del risparmio significa consegnare all’estero i soldi degli italiani, i loro risparmi, per fare investimenti in Francia e sostenere l’economia tedesca. Abbiamo il dovere di difendere e mantenere le proprietà delle aziende – si legge in fine – e degli asset principali in Italia”. Per proteggere i risparmi degli italiani, Grillo aveva anche chiesto la ricapitalizzazione di Mps da parte dello Stato (così come è poi avvenuto) così da poter “mettere radicalmente mano alla governance della banca”.

L’USCITA DALL’EURO

Salvaguardare i risparmi degli italiani e l’italianità delle aziende strategiche significa, quindi, anche uscire dall’euro, per i Pentastellati. Il Movimento 5 stelle ha sempre sostenuto la necessità di un referendum sulla possibile uscita dalla moneta unica e a fare i conti su quanto potrebbe costare tale eventualità è stato l’ex assessore al Bilancio di Virginia Raggi, Marcello Minenna, su un post pubblicato il 27 gennaio intitolato: “Referendum sull’euro prima che sia troppo tardi”. Secondo Minenna, grazie alla Lex Monetae l’Italia ha la facoltà di “ridenominare i propri debiti in moneta nazionale”, il che permetterebbe di pagare i debiti con una nuova lira svalutata.

“Ipotizzando una svalutazione del 30% della nuova lira – si legge sul blog – e assumendo che i 210 miliardi di BTP comprati dalla Banca d’Italia nel programma di QE siano per metà ridenominabili e per metà no, Minenna conclude che l’Italia si trovi oggi a metà del guado con circa 200 miliardi di benefici finanziari dalla ridenominazione sulla componente domestica”. Più passa il tempo, però, più la situazione è destinata al peggiorare secondo l’ex assessore Minenna, perché “la migrazione verso i BTP con CAC sarà completata nel 2022”. “Da adesso in poi – conclude il post – rinviare l’uscita dall’Euro e dunque la ridenominazione costa all’Italia circa 70 miliardi all’anno, metà come maggiori perdite e metà come minori guadagni”.

NAZIONALIZZARE LE AZIENDE STRATEGICHE

Sovranità monetaria e nazionalizzazione vanno, secondo il Movimento 5 stelle, di pari passo. Il programma sulle nazionalizzazioni a 5 stelle, infatti, tocca anche il settore energetico. Lo scorso 11 gennaio gli iscritti al Movimento hanno votato l’inserimento della nazionalizzazione del capitale di Terna, ovvero la società proprietaria della rete elettrica nazionale, partecipata con il 29,85% da Cdp (Cassa depositi e prestiti) Reti, spa controllata al 100% dalla Cassa depositi e prestiti (80% del ministero dell’Economia), all’interno del prossimo programma di governo del Movimento. Così, se i 5 stelle dovessero vincere le prossime elezioni politiche, è possibile immaginare che tale visione si possa applicare anche alle altre aziende strategiche italiane.

Malgrado non ci siano stati (ancora) quesiti specifici su Eni e Enel, Grillo ha auspicato che le aziende spostino progressivamente i loro investimenti dai combustibili fossili alle energie rinnovabili (qui tutto il programma energetico del M5s). Non si può dimenticare, inoltre, che durante l’assemblea degli azionisti di Eni, nel 2015, il capo politico dei 5 stelle aveva giudicato “scellerata” la gestione di Eni, forse con “la volontà di svincolare Eni da qualsiasi controllo pubblico e di gettarla in pasto ai privati”, opponendosi allo “all’attacco violento alla proprietà pubblica nei settori primari: acqua, energia, sanità, istruzione, trasporto pubblico” scatenato dall'”Europa a trazione finanziaria”.

Difesa BEPPE GRILLO Generali

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