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Bisogna ripensare la politica di risanamento bancario adottata finora in Italia: questo è il giudizio, assai crudo, di un articolo appena pubblicato dall’Istituto tedesco Bruegel, dal titolo “Come non creare delle banche zombie: lezioni per l’Italia dal Giappone”. Le ricapitalizzazioni delle banche sono pressoché inutili, finché le nuove risorse vengono assorbite dalla gestione dei Npl rimasti in bilancio, anziché essere indirizzate alla ripresa della attività creditizia. L’attività economica risulta penalizzata e i capitali freschi sprecati.

Quando non c’è un mercato dei Npl, prosegue lo studio, le perdite che deriverebbero alle banche da una loro cessione sono eccessive: questo disincentiva la cessione e perpetua la situazione di stallo. Né è possibile nel caso italiano, vista l’entità del problema, procedere direttamente alle risoluzioni bancarie ponendo gli oneri a carico degli altri istituti e dei depositanti, come pure prevede la direttiva Brrd attraverso la costituzione di un fondo di risoluzione e di uno per la tutela dei depositi, come dimostra l’intervento del governo italiano sulle quattro piccole banche locali alla fine del 2015.

Neppure sono sufficienti soluzioni volontarie “di sistema”, come il Fondo Atlante: doveva servire alla creazione di un mercato efficiente dei Npl, con un veicolo di grandi dimensioni in grado di comprarne dalle banche per un importo di 50-100 miliardi di euro. Invece ha pressoché esaurito la dotazione per la presa in carico delle due banche venete.

L’intervento d’urgenza del governo, con un fondo da 20 miliardi di euro, è un primo passo. È stato deciso a seguito della mancata ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, e servirà anche nel caso delle due banche venete, ma non affronta il problema degli Npl: secondo lo studio, serve uno strumento pubblico-privato, che sgravi le banche. Altrimenti, la pur forte pressione della vigilanza della Bce affinché se ne liberino velocemente, unita alla richiesta dell’Eba di ricapitalizzazioni prudenziali, rischiano di essere vane. Un intervento statale volto a costituire una Bad bank, al fine di acquisite gli Npl, andrebbe ad accrescere il debito pubblico, come è già accaduto per il decreto “salva risparmio”. Nel caso di una partecipazione dei privati inferiore al 51% del capitale, secondo le regole Eurostat, l’intero intervento verrebbe contabilizzato come interamente a carico della Pa.

Nello studio tedesco non c’è dunque una proposta precisa, ma una ennesima sottolineatura dell’esigenza di provvedere. Su Milano Finanza, il tema delle sofferenze bancarie è stato più volte affrontato. Innanzitutto, distinguendo le due grandi categorie: quelle relative ad attività edilizie, immobiliari, e ai mutui contratti dalle famiglie per l’acquisto di una abitazione; e poi quelle delle imprese, prevalentemente manifatturiere. Servono quindi due strumenti diversi.

Per quanto riguarda il settore immobiliare, i mutui delle famiglie in difficoltà, quasi ottocentomila casi, si riferiscono ad importi mediamente assai esigui, di persone che in questi anni hanno perso il lavoro. Sono prestiti e mutui, le cui rate sono state pagate regolarmente per anni: con il sistema della cessione delle sofferenze, le banche si spogliano anche delle garanzie sul credito, come l’ipoteca che grava sull’immobile.

Questo viene venduto con aste senza più un livello minimo, a prezzi stracciati: una casa comprata per 100, viene aggiudicata magari a 20. È una procedura inutilmente penalizzante per tutti: dalla banca, alla famiglia che perde l’immobile. Serve un braccio operativo, la Cassa Depositi e Prestiti, che porti a soluzione diversa, sistematica: l’acquisto in blocco dei mutui in sofferenza da parte di un Fondo immobiliare, che emette obbligazioni per l’importo delle rate ancora da pagare, ma con la garanzia dell’intero valore immobiliare.

Le banche riceverebbero l’ammontare iscritto a bilancio, dopo la svalutazione dei crediti che hanno già spesato a bilancio: per loro, niente nuove perdite. Con l’adesione da parte del proprietario in ritardo con i pagamenti, il fondo diverrebbe proprietario dell’immobile fino al suo riscatto, a seguito del pagamento delle rate rimaste ancora da pagare. Le rate del nuovo mutuo sarebbero scaglionate su un più lungo periodo di tempo, considerando quanto già pagato inizialmente e poi versato negli anni. Si eviterebbero svendite immobiliari, un nuovo tracollo dei prezzi, e soprattutto di mettere in mezzo alla strada centinaia di migliaia di famiglie. Niente avvoltoi, dunque.

C’è poi il problema dei crediti in sofferenza concesse alle aziende che operano nel settore edilizio e immobiliare. Va costituito un secondo fondo di investimento con garanzia pubblica per subentrare alle banche nei crediti concessi ai costruttori ed agli immobiliaristi, anche stavolta al prezzo delle sofferenze nette, pagando con obbligazioni ventennali che prevedono il pagamento degli interessi in una unica soluzione, alla scadenza. Vent’anni sono un periodo più che sufficiente per far riprendere il mercato: i singoli operatori, nel frattempo, avrebbero la possibilità di gestire al meglio la loro attività, senza l’angoscia di doverci rimettere tutto e l’incubo del fallimenti. Gli immobili a uso abitativo potrebbero essere concessi in affitto a prezzi modici, mille euro l’anno: per finanziare l’operazione si potrebbero utilizzare i fondi per l’edilizia pubblica e dirottarvi le nuove risorse destinate ai bonus per i percettori di redditi bassi. Il maggior flusso di cassa, anziché arrivare nelle buste paga, servirebbe a pagare gli interessi sulle obbligazioni. A un tasso del 3% annuo, su un capitale immobiliare di 100 miliardi di euro, il costo annuo delle obbligazioni sarebbe di 3 miliardi: una cifra ampiamente abbordabile.

Per quanto riguarda le sofferenze nel settore industriale, sin dal 2013 Milano Finanza propose una cooperazione pubblico-privato per il riposizionamento strategico del sistema produttivo (“È meglio una good idea”, 12 ottobre). Serve un accordo quadro con la Cassa Depositi e Prestiti e l’Abi per l’accreditamento dei soggetti privati, merchant o fondi di turn-around, abilitati ad analizzare le prospettive delle aziende in difficoltà, e soprattutto rivedere la legge Prodi sulle crisi industriali, per concentrare in un unico soggetto l’esercizio dei poteri amministrativi cui è subordinato l’avvio del piano di ristrutturazione, dalla concessione della Cassa integrazione agli incentivi finanziari, dalla formazione professionale alla emanazione in surroga delle autorità competenti delle autorizzazioni amministrative.

Prima ci si è illusi che fosse sufficiente accelerare le procedure giudiziarie di esecuzione, poi che bastassero le garanzie pubbliche sulle cartolarizzazioni. Il Fondo Atlante e il decreto “salva risparmio” non sono stati risolutivi: più passa il tempo e più la crisi bancaria sarà costosa per tutti.

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