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Dopo l’attentato di metà dicembre a Berlino, la sicurezza è diventata l’argomento principale del confronto politico in Germania. D’altro canto, in un anno cadenzato da diverse elezioni (le prime, in febbraio) e tra queste quelle politiche (in settembre), non potrebbe essere diversamente. Non c’è partito, che non abbia promesso di fare quanto possibile per scongiura altri attentati, per individuare in tempo possibili terroristi.
L’impegno è serio, non ultimo per il timore, più che fondato, che il partito populista Alternative für Deutschland (AfD), possa profittare anche di questi drammatici fatti. Come si legge nel settimanale Spiegel: “La coesione che ha caratterizzato la Germania negli ultimi decenni è scomparsa. La frattura fra coloro che nonostante tutto puntano ancora su una società aperta, tollerante e coloro che invece non ne vogliono più saperne di accoglienza e chiedono severissime norme di sicurezza, non è mai stata più profonda, dalla fine della guerra mondiale”. A dimostrarlo concretamente il linguaggio sempre più aggressivo dei sostenitori del movimento Pegida, cioè dei “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente”: questi in passato hanno accolto la Kanzlerin Angela Merkel e il suo vice, il capo dei socialdemocratici Sigmar Gabriel, con manifesti sui quali si vedevano cappi e sotto i loro nomi. Marcus Pretzel uno dei leader di AfD, subito dopo l’attentato del 13 dicembre a Berlino, definiva sui social media le vittima: “I morti di Merkel”.

Come sempre il più agguerrito tra i partiti al governo, è il cristianosociale (Csu) guidato da Horst Seehofer. Già all’inizio dell’anno, i bavaresi avevano presentato un elenco programmatico di nuove misure di sicurezza da attuare. Con meno clamore, anche cristianodemocratici e socialdemocratici si sono messi al lavoro.
Le misure di sicurezza sulle quali il ministro della Giustizia, il socialdemocratico Heiko Maas e il ministro dell’Interno, il cristianodemocratico Thomas de Maiziére hanno comunicato questo martedì di aver trovato un accordo, riguardano innanzitutto i “Gefährder”. Si tratta di soggetti che – come si legge sul sito del settimanale Die Zeit – gli organi di sicurezza individuano come potenziale pericolo. Il tunisino Anis Amri, l’attentatore di Berlino, era un Gefährder. In Germania le forze di sicurezza contano attualmente 274 “Gefährder”, 62 dei quali con il foglio di via, ma ciò nonostante non immediatamente rimpatriabili.
Stando all’accordo Maas – de Maiziére, d’ora in poi, sarà più facile disporre la custodia cautelare di questi Gefährder, già in possesso del foglio di via, ma in attesa dei documenti dai loro paesi di provenienza, per il rimpatrio. Oppure l’uso della della cavigliera elettronica e l’obbligo di residenza.

Misure che mostrano una volontà concreta di chiudere alcune lacune ma che, non dovrebbero dare adito a eccessive speranze, avverte la Zeit. Per due motivi. Primo, perché da queste misure sono esclusi coloro che hanno un passaporto tedesco o che hanno ottenuto il diritto d’asilo. Inoltre bisognerà capire come valutare il livello di pericolo che rappresenta un soggetto e che dunque giustifica una carcerazione preventiva, fino a 18 mesi. Secondo, perché questo decalogo prevede l’approvazione di tutti i Länder.
Uno scoglio, quest’ultimo di non poco conto. Il sistema federale tedesco prevede assoluta autonomia delle istituzioni regionali. Istituzioni che peraltro non hanno mai brillato per solerzia nello scambio dei dati o nella cooperazione. Proprio per questo e considerando l’allerta terrorismo, de Maiziére già inizio anno aveva avanzato la proposta di centralizzare la politica di sicurezza, dare dunque più potere alla polizia, ai servizi interni federali. La reazione è stata però di netta chiusura, da parte dei diretti e da parte della maggioranza dei politici di tutti gli schieramenti.
Sigmar Gabriel il capo dei socialdemocratici in un’intervista allo Spiegel aveva dichiarato al riguardo: “Stimo veramente molto il collega de Maiziére, ma alla luce delle sfide che il terrorismo ci sta ponendo, trovo veramente fuori luogo mettere in discussione il nostro sistema federale. Vorrebbe dire aprire un cantiere dai tempi biblici, paralizzando al contempo gli apparai di sicurezza. Per non parlare del fatto, che proprio la Cdu ha tagliato negli ultimi anni ben 14mila posti nel settore sicurezza”.
Si tratta di battibecchi anche molto di maniera, perché a ben vedere la ricetta è più o meno la stessa, indipendentemente da chi la propone. E in tempo di campagna elettorale bisogna pur distinguersi. Il vero scontro, resta paradossalmente, tra Cdu e il fratello minore Csu. Seehofer vuole la certezza (scritta)che nel prossimo programma/contratto di coalizione venga indicato il tetto massimo di profughi che la Germania è disposta ad accogliere in un anno. Se così non fosse la Csu potrebbe sciogliere la liaison con i cristiandemocratici. Merkel non sembra disposta a questo impegno. C’è chi dice perché al momento, l’unica realistica probabilità di proporre per la terza volta un governo di coalizione è non chiudere le porte ai Verdi.

Germania, la politica di sicurezza e le tentazioni di Merkel

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