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Mercoledì il presidente americano Donald Trump ha ospitato nello Studio Ovale il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. L’incontro, programmato, non poteva arrivare in un’occasione più calda: il giorno precedente infatti la Casa Bianca aveva diffuso una lettera di licenziamento firmata in calce dal presidente e inviata al capo dell’Fbi James Comey – accusato di negligenze e di comportamento superficiale nell’inchiesta Emailgate su Hillary Clinton. Comey è anche colui che sta indagando sulle potenziale collusioni tra uomini della campagna Trump-2016 e il piano russo per interferire nelle elezioni presidenziali americane.

LE PRESSIONI E LA REAZIONE

Il fatto che Trump licenzi il capo di un’indagine sul suo conto, e che ne nomini il successore che proseguirà quella stessa indagine (nomina che potrebbe arrivare già domani, quando Trump andrà in visita alla sede centrale del Bureau), ha prodotto polemiche a non finire (in cui si sono lanciati a capofitto anche i democratici, nonostante mesi fa siano stati i primi a criticare l’operato di Comey a proposito dell’indagine su Clinton) e messo la Casa Bianca sotto una pressione senza precedenti. La reazione di Trump al clima da Watergate e deriva autoritaria immediatamente descritto dai pensatori più liberal è stata scomposta: tweet contro i dem, giustificazioni sul cattivo operato di Comey (che finora però piaceva ai Repubblicani proprio per la terzietà dimostrata conn Clinton) e due immagini potenti. Arrivano entrambe dalla visita russa nel centro del potere americano. La prima: ha bloccato l’accesso a tutti i giornalisti (‘non russi’) che compongono il “press pool” della Casa Bianca. Dentro solo un fotografo entrato come accompagnatore di Lavrov, ma poi s’è scoperto essere della Tass, l’agenzia stampa controllata (nel senso ‘di proprietà di’) dal governo russo, tutti gli altri fuori.

LA FOTO CON KISLYAK

Quando si sono riaperte le porte dello Studio Ovale, a incontro concluso, è apparso Henry Kissinger insieme al presidente, che commentava il licenziamento di Comey (“Non stava più facendo bene il suo lavoro” ha detto Trump). Nel frattempo però gli account istituzionali governativi russi, su tutti quello dell’ambasciata negli Stati Uniti (@RusEmbUSA), inondavano i social di foto del meeting. In una di queste immagini – la cui potenza non sfuggirà – c’è il presidente che stringe sorridente la mano a Sergei Kislyak, l’ambasciatore russo a Washington. Decontestualizzata da tutto quello che è successo negli ultimi mesi, sarebbe una foto di routine, ma invece si ricorderà che Kislyak è l’indiscusso protagonista di quell’inchiesta (per farla facile: il “Russiagate”) sulle collusioni Russia-Trump. È stato con lui che l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn si è incontrato promettendo un atteggiamento più morbido della Washington-trumpiana (‘in cambio di che?’ è tra i dubbi dell’inchiesta): incontri su cui ha mentito a Fbi e vice presidente e che gli sono costati il posto. E il diplomatico è protagonista anche di un altro incontro menzognero, quello con l’attuale segretario alla Giustizia Jeff Sessions, costretto a ricusare dall’inchiesta più importante che il suo dipartimento sta conducendo per aver mentito al Congresso (in fase di audizione di conferma) di aver incontrato Kislyak durante la campagna elettorale.

I RUSSI GIOCANO

L’assenza di trasparenza su questi incontri è stato sicuramente un argomento; che il presidente si riservi l’opportunità di meeting non pubblicizzati è evidente, ma inquadrando la vicenda nel contesto temporale pare una sorta di provocazione non richiesta (‘O forse è debolezza?’, si chiede qualche analista). Intanto i russi ci hanno giocato. Lavrov prima di andare alla Casa Bianca ha avuto un altro incontro riservato con l’omologo americano Rex Tillerson: nella breve photo opportunity nella hall del Truman Building, Tillerson ha introdotto Lavrov con i soliti convenevoli, ricordando l’importanza del dialogo tra le due super potenze (la Siria è stato uno degli argomenti di conversazione, dicono i media americani). Poi, tra il rumore dei flash, una giornalista ha chiesto al russo una domanda a proposito del licenziamento di Comey, e lui ha fatto lo gnorri, ironizzando: “Lo hanno licenziato? Stai scherzando? Stai scherzando? (segue scrollata di testa)”. Poche ore prima, anche Vladimir Putin aveva risposto a una domanda simile postagli dalla CBS: il presidente russo stava rientrando negli spogliatogli del Bolshoy Ice Dome di Sochi dopo aver giocato durante la Night Hockey League e alla giornalista Elizabeth Palmer che lo ha fermato ha risposto che il licenziamento di Comey “non intaccherà le relazioni Usa-Russia di certo”, ma tutto questo “è molto divertente”.

INTANTO BOMBE DAL RUSSIAGATE

Intanto, sempre nelle stesse ore, sono uscite diverse informazioni sull’inchiesta Russiagate. Una ricostruzione ottenuta da fonti interne del New York Times dice che qualche giorno fa Comey la possibilità di aumentare il budget per l’indagine, perché la questione era grossa e occorreva concentrarci più risorse. Un altro articolo, parallelo, uscito sul Washington Post spiega sempre tramite informazioni ottenute da insider, che il rapporto tra Comey e Trump era definitivamente spaccato proprio a causa della volontà del direttore di continuare con l’inchiesta sulle potenziali collusioni russe. Nel frattempo il Senato, che con la sua Commissione Intelligence sta conducendo un’inchiesta parallela a quella dell’Fbi e della commissione gemella alla Camera, ha inviato un mandato di comparizione a Flynn: la richiesta “formale”, come sottolinea la BBC, è una rarità, ma si rende necessaria perché l’ex consigliere di Trump non vuole collaborare. E i democratici sono saliti sul piede di guerra, sfruttando il caso anche in termini politici, e hanno chiesto la creazione di una commissione indipendente di indagine, per evitare che l’inchiesta subisca rallentamenti o insabbiamenti dopo e durante la nomina del nuovo capo del Bureau. Si afferma l’ovvio dicendo che probabilmente le spifferate alla stampa sulla vicenda saranno protagoniste quotidiane dei prossimi giorni – in tanti all’interno dell’Fbi erano con Comey.

(Foto: Twitter, @RussEmbUSA, Donald Trump e l’ambasciatore russo Sergei Kislyak)

 

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