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Le nubi su un’altra fetta di privatizzazione di Poste Italiane, le intenzioni dopo la scalata di Vivendi su Mediaset e il controllo pubblico sulle torri di trasmissione. Ecco come si sta muovendo il governo italiano su aziende pubbliche e asset ritenuti strategici per il Paese. Ma c’è sintonia nei palazzi governativi? Vediamo i singoli dossier.

LE PAROLE DI GIACOMELLI SU POSTE 

Il sottosegretario allo Sviluppo Economico Antonello Giacomelli ha dichiarato di essere contro una nuova cessione delle quote di Poste, mentre per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenuto in audizione al Senato nei giorni scorsi, un nuovo round di privatizzazioni, che equivale a mettere sul mercato sia Poste Italiane sia Fs, garantirebbe l’aggiustamento richiesto dalla Ue nel rapporto tra debito e Pil. La collocazione sul mercato della seconda tranche (29,7% ) di Poste Italiane dovrebbe portare nelle casse del Tesoro circa 2,4 miliardi di euro, mentre la quotazione del 35,3% della società, realizzata nell’ottobre 2015, aveva generato entrate per 3,1 miliardi. “Il Mef detiene una partecipazione residua nel capitale di Poste pari al 29,7%” che “sarà dismessa verosimilmente nella primavera o nell’estate”, ha detto il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, intervenendo nel Question Time alla Camera.
Il governo italiano fa dunque retromarcia sulla privatizzazione di Poste Italiane oppure no? “Pongo la questione al Pd, il mio partito, in termini politici. E offro queste osservazioni anche a maggioranza, Parlamento e Palazzo Chigi”, ha detto Giacomelli intervistato da Repubblica sottolineando di non parlare a nome del governo. “Siamo di fronte a uno scenario impegnativo: privatizzare un altro 30% entro l’anno”, ha puntualizzato Giacomelli, motivo per cui “è giusto richiamare l’attenzione su rischi e implicazioni”. Ma c’è chi dice che il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, non sia della stessa idea di Giacomelli. Calenda, interpellato da Formiche.net, non ha dato riscontro.

LE NOVITÀ NEL DDL CONCORRENZA

La corsa di Vivendi, il colosso media francese di Vincent Bollorè che ha acquistato in poche settimane il 28,8% del gruppo del Biscione, ha messo sul piede di guerra governo e Authority schierate a difesa dell’italianità del Biscione.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, parlando per conto del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, in missione all’estero, ha annunciato negli scorsi giorni durante un question time alla Camera sul caso Vivendi –Mediaset che il governo sta valutando l’opportunità di introdurre una regolamentazione che incrementi gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi Ocse.
“Il governo ritiene di valenza strategica ai fini della crescita del sistema-Paese l’attrazione degli investimenti esteri, ritenendo, tuttavia che detti investimenti debbano essere realizzati in un quadro che garantisca la tutela degli interessi e degli asset strategici economici nazionali”, ha spiegato Finocchiaro aggiungendo che “l’esecutivo ha dato una valutazione fortemente negativa, delle modalità, giudicate opache, con cui questa operazione è stata portata avanti”.
Le misure anti scalata andrebbero inserite nella legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere licenziata dal Parlamento entro marzo.
“C’è interesse del governo, il ministero dello Sviluppo in particolare, a redigere questa misura ma testi concordati non ce ne sono”, ha spiegato ai primi di febbraio a Reuters il senatore del Pd e relatore del provvedimento, Salvatore Tomaselli, per il quale l’obiettivo “è omogeneizzare la normativa italiana a quelle più stringenti di altri paesi europei, come ad esempio la Francia”.

I NODI

“Il ddl è stato calendarizzato in aula al Senato per l’ultima settimana di febbraio. Chiuso il passaggio in Senato va alla Camera per l’ultima lettura. Questo è un accordo già definito, tant’è che la Camera ha già calendarizzato l’ultima lettura a marzo. Quindi la legge sulla concorrenza sarebbe più veloce di un decreto ad hoc”, ha detto Tomaselli.
Ma qualora i tempi del disegno di legge concorrenza, attualmente all’esame del Senato, dovessero allungarsi, ancora non si può escludere che la norma venga agganciata a un altro provvedimento.

COSA PREVEDE

I ministeri dello Sviluppo economico e dell’Economia, insieme alla Consob, vorrebbero che nel caso di scalata azionaria oltre diverse soglie (i multipli del 5% fino al 20%, forse anche 25%) scattino obblighi più stringenti rispetto alla divulgazione di alcune informazioni. Si dovranno così indicare alla Commissione nazionale per le società e la borsa gli obiettivi a 6-12 mesi prefissati dall’investitore in salita, il modello finanziario dietro alle operazioni, l’eventuale presenza di player con cui si agisce di concerto e l’intenzione di ottenere posti in cda. Nel caso in cui la strategia subisse cambiamenti bisognerebbe comunicarlo alla stessa Authority.

IL CONTROLLO PUBBLICO SULLE TORRI

Il governo ha rimarcato il suo controllo anche su un altro settore ritenuto strategico, quello delle torri di trasmissione del segnale radio-tv e di telecomunicazioni. In merito ad un eventuale matrimonio tra Ei Towers e Rai Way, che permetterebbe di mantenere l’infrastruttura in mano italiana evitando il rischio di offerte ostili dall’estero. Interrogato su tale possibilità Giacomelli si è augurato che l’operazione sia in corso e che possa concludersi rapidamente. A patto che il controllo del nuovo polo unico delle torri di trasmissione “rimanga pubblico”, come prevede la norma che impone al governo di mantenere il 51% del capitale. Scenderà in campo su input del governo il fondo F2i partecipato dalla Cassa depositi e prestiti? Si vedrà.

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