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La prima vittima concreta della vittoria del No al referendum costituzionale è il disfacimento di Ap, ovvero Area popolare, la componente parlamentare che aveva unito l’Ncd di Angelino Alfano e l’Udc di Pierferdinando Casini e Lorenzo Cesa. Mentre Casini da tempo si è distanziato da Cesa sostenendo con forza il Sì al referendum insieme ad Alfano, in queste ore si è consumato lo strappo definitivo tra Udc e Ncd: insieme ai deputati Buttiglione, Binetti, Cera e De Mita e al senatore De Poli, Cesa ha lasciato Alfano e il suo progetto centrista. Una scelta attesa, visto che il segretario ex diccì aveva sostenuto il No al referendum, mettendosi praticamente fuori dalla maggioranza. Ma anche l’accelerazione di Alfano sulle elezioni a febbraio ha contribuito a incrinare definitivamente i rapporti.

Addio dunque al progetto di Ap, che doveva essere l’embrione di un progetto centrista, gamba di centro di un’alleanza col Pd renziano. Ora quel Pd probabilmente non ci sarà più, quindi anche Angelino Alfano dovrà modificare i suoi piani? Dal punto di vista parlamentare non cambia molto: i numeri alla Camera sono in sicurezza per la maggioranza, mentre a Palazzo Madama un senatore non fa la differenza. Tra l’altro poi si parla di una maggioranza a tempo, che servirà solo per traghettare il Paese alle urne. Sarà però interessante vedere, col cambio di scenario e un Pd che probabilmente tornerà a guardare a sinistra, cosa cambierà al centro. Quell’area, come dicevamo all’inizio, è la prima vittima del trionfo del No. Per questo il ministro dell’Interno, con un’uscita poco istituzionale, ha provato a forzare la mano per spingere al voto immediato a febbraio, con la speranza che Renzi ne uscisse vincitore. Un’accelerazione da parte del titolare del Viminale che non ha tenuto in considerazione la volontà del Quirinale e il calendario della Consulta sull’Italicum.

L’altro grande sconfitto dal voto è Denis Verdini, che sulle riforme aveva puntato tutto. “Noi sostenevamo questa maggioranza per fare le riforme. Ora che non si fanno più, soffriamo più di altri”, confida Ignazio Abrignani, deputato di Ala. Da queste parti, però, almeno sembrano più uniti: la fusione Ala-Scelta civica va avanti e al momento non è in discussione. “In un quadro di grande fibrillazione come questo, l’importante è non dividersi”, sottolinea Abrignani. Sul da farsi Verdini e Zanetti la pensano allo stesso modo e, al contrario di Alfano, non hanno particolare fretta di andare al voto e si rendono disponibili a sostenere un governo di transizione che faccia una legge elettorale omogenea per Camera e Senato. “L’ipotesi elezioni a febbraio non è mai stata in campo”, puntualizza ancora Abrignani.

Per ora, quindi, si guarda al capo dello Stato. “Condividiamo totalmente la linea del presidente Mattarella. Fino a che non avremo una legge elettorale organica e coerente per le due Camere, parlare di elezioni è ridicolo prima ancora che irresponsabile”, afferma il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti. L’alleanza Ala-Scelta civica (che conta 16 deputati e 18 senatori), dunque, va avanti e guarda ad alleanze future in vista del voto. “Da qui si parte per unire ulteriormente l’area liberale e moderata, dentro un perimetro che esclude la sinistra radicale, la destra lepenista e il Movimento 5 Stelle. Il centro, auspicabilmente unito, può dialogare con altre forze sulla base di programmi di coalizione”, osserva Zanetti.

Chiaro che, perso l’aggancio col Pd renziano, ora Zanetti e Verdini dovranno guardare ancor di più ad Alfano per tenere unita un’area che probabilmente guarderà di nuovo al Pd come futuro alleato. Ma tutto, naturalmente, dipenderà dalla legge elettorale. E da questa parti, naturalmente, si tifa per il proporzionale, l’unica legge che permette di presentarsi da soli senza essere obbligati a formare una coalizione.

Cosa si mormora e si agita al centro fra Alfano, Verdini e Zanetti

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