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Donald Trump ha offerto il posto di ambasciatore americano in Cina a Terry Branstad, governatore repubblicano dell’Iowa, uno degli Stati decisivi per la vittoria alle presidenziali (il 9 per cento con cui Trump ha battuto Hillary Clinton è il migliore risultato repubblicano ottenuto nello Stato del Midwest  dai tempi di Ronald Reagan, e Trump ha già in precedenza premiato nelle scelte per la squadra di governo figure a lui vicine provenienti da stati considerati in bilico durante la campagna). A quanto pare dalle informazioni ricevute dalla Bloomberg da tre fonti confidenziali a conoscenza della vicenda, Branstad avrebbe già accettato l’incarico (che dovrà essere confermato dal Senato) – la vicenda è stata poi rilanciata e confermata da altre fonti di Fox News. Tanto che il portavoce del ministero degli Esteri cinesi Kang Lu durante la conferenza stampa quotidiana ha dato il “benvenuto” al governatore, augurandosi che possa “giocare un ruolo maggiore nel promuovere lo sviluppo delle relazioni Cina-USA”. Giovedì Trump sarà a Des Moines, tappa del tour di ringraziamento, e forse potrebbe arrivare dal palco l’annuncio ufficiale: David Bosse, vice direttore esecutivo della squadra di transizione presidenziale, ha ammesso alla Reuters che “si sta parlando di questo”.

IL MEETING ALLA CASA BIANCA NEWYORKESE

Il governatore, che ha sostenuto Trump durante la campagna, sarebbe arrivato alla Trump Tower nel pomeriggio di martedì insieme a sua moglie e al suo capo gabinetto per un incontro di alto livello a cui, secondo la Bloomberg, hanno partecipato anche il futuro capo dello staff presidenziale Rience Priebus, il consulente strategico Steve Bannon, Donald Trump Jr e Jared Kushner (rispettivamente figlio/genero-in-chief, anche se nessuno dei due formalmente ha ancora ruoli nella futura amministrazione). Storie di figli: Eric Branstad, figlio di Terry, è stato il direttore della campagna Trump per l’Iowa. Il governatore era già al lavoro: pochi giorni dopo la vittoria elettorale Barnstad era partito per un viaggio in Cina (e Giappone), in occasione del quale il quotidiano locale Des Moines Registrer aveva già parlato della possibilità che il governatore potesse diventare ambasciatore – quella di novembre è stata la quarta visita in Cina negli ultimi sette anni.

L’AMICO DI XI

Tra Branstad, il più longevo dei governatori nella storia americana (in carica dal 1983 al 1999 e poi ancora dal 2011) e la leadership cinese c’è un rapporto in piedi da diversi anni: nel febbraio 2012, solo nove mesi prima di diventare presidente, Xi Jinping visitò l’Iowa, e in quell’occasione il governatore chiamò il cinese “un amico di lunga data” – “Vecchio amico” sono le parole usate anche durante la conferenza stampa da Lu. Durante un comizio a Sioux City, il 6 novembre, Trump indicò Branstad come “la nostra potenziale prima scelta per prendersi cura della Cina”. Xi e Branstad si conobbero per la prima volta nel 1985, quando il cinese era un dirigente del settore agricoltura della grande provincia di Hebei in visita in America. La Cina, dopo il Canada, è il secondo più grande mercato di esportazione dell’Iowa (durante l’incontro del 2012 il paese chiuse un contratto per la vendita di 4 miliardi di dollari di soia l’anno alla Cina), e dunque Branstad sa con chi dovrà trattare: il volume di affari si aggira intorno ai 2,3 miliardi in beni e quasi trecento mila dollari in servizi. I rapporti personali con Xi, inoltre, potrebbero aiutarlo, ma tutto dipenderà dalla linea che l’Amministrazione vorrà assumere.

UNA SCELTA IMPORTANTE

La nomina intanto suggerisce che Trump potrebbe prendere una posizione più morbida nei confronti della Cina rispetto agli annunci della campagna elettorale, oppure è parte di una strategia del bastone e carota con cui la prossima Casa Bianca condurrà i rapporti con la seconda più grande economia del mondo. Washington e Pechino hanno vissuto giorni di tensione dopo che Trump il 2 dicembre ha avuto una conversazione telefonica con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen. Formalmente i rapporti tra Stati Uniti e Taiwan sono interrotti dal 1979, come parte di un’apertura reciproca alla Cina – Pechino considera Taiwan una provincia ribelle e non ne riconosce l’esistenza, gli Stati Uniti sposarono la politica detta “One-China Policy” per ammorbidire lo scontro tra imperi commerciali. Ufficialmente la telefonata tra Trump e Tsai è stata descritta come una chiamata estemporanea della taiwanese a cui il presidente eletto aveva risposto con soddisfazione ma più che altro per semplice cortesia. Il giornale del partito comunista cinese, organo politico di propaganda, comunque aveva reagito con un un duro articolo con cui criticava il presidente americano, ricordando (quasi minacciando) l’importanza delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Martedì il New York Times ha però pubblicato un articolo in cui ha raccontato di essere arrivato a conoscenza di alcuni documenti che proverebbero che la conversazione telefonica tra Trump e la controparte taiwanese era un passaggio pianificato di un programma di apertura a Taiwan studiato a tavolino dagli uomini del team Trump con il lobbista Bob Dole, un ex senatore del Kansas e ora in forze allo studio Alston & Bird di Washington (per cui da maggio a ottobre ha seguito le attività di lobby pro-Taiwan al prezzo di ventimila dollari al mese). Secondo i documenti Dole starebbe organizzando anche incontri diretti di alto livello: a uno di questi dovrebbero partecipare esponenti del governo di Taiwan e il capo gabinetto di Trump Priebus. Il ruolo di Branstad sarà anche mediare tra la politica dell’imprevedibilità che Trump vorrebbe tenere e la linea cinese, che invece è nota per non amare sorprese.

(Foto: Flickr, Gage Skidmore)

 

Terry Branstad, l'amico di Xi ambasciatore Usa in Cina

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