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Un colpo al cerchio e un altro alla botte. Così si può riassumere il giudizio sul pacchetto di norme per le banche proposto dalla Commissione Ue sotto la regia del commissario Valdis Dombrovskis (nella foto) a modifica del regolamento sui requisiti di capitale emanato nel 2013. Il risultato finale per di più fa sfumare anche il cerchiobottismo perché non appare equilibrato. Vediamo perché.

Si estende a importi di credito superiori a quelli oggi previsti il fattore di supporto per le medie e piccole imprese, che comporta per i relativi prestiti minore assorbimento di capitale, e si agevolano i finanziamenti per gli investimenti nelle infrastrutture, ma accrescendo direttamente o indirettamente il peso sul capitale si stabilisce, con decorrenza dal 2019, un leverage ratio del 3 per cento del Tier 1 e, oltre alla concreta disciplina Tlac a suo tempo decisa a livello internazionale, che riguarda gli istituti sistemici, si regolamentano i requisiti Mrel (Minimum Requirement for own funds and Eligibile Liabilities) da fissare per ciascuna banca.

A quest’ultimo proposito nel recente Rapporto sulla stabilità finanziaria si legge che la Banca d’Italia ritiene opportuno che venga adottato un approccio equilibrato, soprattutto in termini di calibrazione dei requisiti in questione, e che le decisioni siano accompagnate da robuste analisi di impatto, tali da riflettere anche le differenze tra banche sotto il profilo della capacità di accesso al mercato. In effetti, se delle ipotesi formulabili si affermasse quella più severa, l’impatto del Mrel sul sistema bancario europeo potrebbe determinare un fabbisogno aggiuntivo di capitale di 1.260 miliardi.

Per le banche minori e in particolare per le Bcc si fissa il criterio della proporzionalità delle regole sulle retribuzioni e sui bonus, rivedendo le restrizioni ora vigenti, e si stabilisce che la banca deve emettere una nuova categoria di titoli specificando che sono soggetti a risoluzione, venendosi a collocare tra i bond subordinati e quelli senior; ma resta l’incognita di Basilea 3, per la quale la Commissione chiede al competente Comitato che non vengano decisi aggravi significativi nella dotazione di capitale. Tuttavia, se ciò non accadesse, si cumulerebbero gli appesantimenti di Basilea 3 con quelli proposti dalla Commissione, se saranno accolti nel trilogo (con il Consiglio e il Parlamento Ue), determinando un peso enorme per gli istituti che, se non fossero nella condizione di sostenerlo, dovrebbero ridurre l’erogazione dei prestiti.

Non mancano gli impegni a ridurre gli oneri regolamentari e a rendere coerenti norme che, nell’incessante produzione comunitaria, vengono in alcuni casi a collidere. Certo, il per ora non riuscito esercizio acrobatico di pesi e contrappesi discende anche dalle direttive in precedenza adottate e dagli impegni internazionali, ma adesso sarebbe il momento della svolta. All’opposto, si cerca di spacciare per un’importante innovazione un bilanciamento che continua a rispondere alla visione restrittiva dell’operare di una banca, la quale, secondo questa visione, va tenuta a freno imbrigliandola tra crescenti requisiti di capitale e di liquidità, allentando l’impostazione solo in quelle aree del sistema in cui la sproporzione tra oneri, operatività e rischi può diventare ingente.

L’apoteosi della tutela dai rischi, che si continua ad affrontare per tranquillità burocratica dei vigilanti e dei regolatori, può finire paradossalmente per arrecare danni alla stessa stabilità finanziaria, che in questo caso può diventare il rigor mortis. Se a ciò si aggiunge la ritornante idea, di marca tedesca, di porre limiti all’investimento in titoli pubblici da parte delle banche, magari attribuendo a essi un coefficiente di rischio, ne può derivare un insieme di regole – se quest’ultima aberrazione dovesse passare – non certo mirate a stabilità e sviluppo. Quanto poi alla correlazione tra messa in comune dei rischi e loro previa riduzione – quest’ultima, secondo il verbo tedesco, richiesta come condicio sine qua non della prima – tutto è rinviato alla prossima riunione dell’Ecofin, che dovrà iniziare a discutere sull’assicurazione europea dei depositi dopo aver fatto il punto sullo stato di avanzamento del negoziato diplomatico.

Sicché, mentre sono certe le misure, quali quelle indicate sui rischi da contenere, vengono rinviate a un futuro indeterminato quelle relative alla mutualizzazione, che invece, come nel caso della predetta assicurazione, sono parte fondamentale dell’Unione bancaria. Un progetto, quest’ultimo, attuato solo per il pilastro che sta offrendo una prova non esaltante, quello cioè della Vigilanza unica. Ci sono ampi motivi perché il governo assuma anche questo tema nelle iniziative promosse nei confronti delle istituzioni europee e non si limiti alla flessibilità o alle variazioni al bilancio comunitario.

(Articolo pubblicato su MF, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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