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La campagna elettorale s’è ormai ridotta agli Stati in bilico, dove lo scarto delle intenzioni di voto non supera nei sondaggi il 5 per cento. Nelle ultime ore due granette vengono a infastidire Donald Trump, scalfendone l’inerzia positiva, anche se il magnate è a tenuta stagna rispetto a contraddizioni e contestazioni: la moglie Melania lavorò da immigrata irregolare, contrariamente a quanto sempre sostenuto; e due stretti collaboratori del capo del suo “transition team” repubblicano, il governatore del New Jersey Chris Christie, sono condannati per uno scandalo politico locale.

Erano elezioni da “voto di sbarramento”: “voto l’una perché non vinca l’altro” (o viceversa). Sono ormai divenute elezioni da paranoia: un incubo, tra chi grida ai brogli, chi apre inchieste, chi ne conduce di soppiatto, chi razzia mail – gli hacker – e chi le diffonde – Wikileaks -. Un clima che favorisce il candidato repubblicano, più incline a gettarla in rissa, sulla rivale democratica, più precisa sui contenuti e a disagio quando si gioca a battere il pugno sul leggio ed a spararle grosse.

LE MINACCE E GLI ALLARMI 

Così, pare strano che l’Amministrazione statunitense si faccia megafono del timore d’un attacco di hacker massiccio, dalla Russia o da altrove, il giorno del voto, per gettare nel caos la democrazia americana e mostrarne le fragilità, almeno tecnologiche – quelle sostanziali le ha già evidenziate la campagna – .

Ci si mette pure l’intelligence ad incitare al parossismo: mette in guardia dal rischio di un attacco dei terroristi di al Qaida – una cellula, o dei lupi solitari – che potrebbero colpire lunedì in Texas, o in Virginia, o a New York, dove domani si corre la tradizionale Maratona e l’allerta è già altissima. Forse, Casa Bianca, dipartimento di Stato, Pentagono, Nsa hanno davvero sentore d’insidie.

Secondo alcuni media, l’Fbi, da una settimana protagonista assoluto e schierato della campagna, sta indagando su falsi documenti volti a screditare Hillary Clinton nell’ambito della più ampia indagine sui presunte interferenze russe. Lo riferiscono alcuni media Usa.

ASSANGE SI CHIAMA FUORI 

Uno degli strateghi occulti di queste elezioni, Julian Assange, si chiama fuori dai sospetti di pastette in asse con il Cremlino: “Non abbiamo mai avuto mail della Clinton da Mosca”, afferma, dopo averne pubblicate migliaia, tutte sostanzialmente innocue.

Intervistato da John Pilger, della tv RT, Assange argomenta che Hillary e il sedicente Stato islamico hanno dietro gli stessi finanziatori e sostiene che a Trump “non sarà permesso di vincere”, “perché ha contro tutto l’establishment, forse con l’eccezione degli Evangelici, se si possono chiamare establishment […] Le banche, l’intelligence, le aziende di armi, i quattrini stranieri […] appoggiano tutti la Clinton. E anche i media, i proprietari dei media e i giornalisti stessi”.

Gli ebrei americani sono con Hillary, quelli d’Israele (che non votano) con Donald.

I SOSPETTI SU MELANIA E IL RITORNO DI HUMA

E’ proprio vero che Melania Trump, se si muove, causa imbarazzi al marito: dopo l’episodio di plagio alla convention di Cleveland, non s’era più vista su un palco fino a giovedì in Pennsylvania. Ed ecco che l’Ap, in base a documenti e contratti in suo possesso, racconta che la modella d’origini slovene esercitò la sua professione nell’Unione almeno dieci volte, nella seconda metà degli Anni Novanta, prima di ricevere il permesso di lavoro.

La cifra pagata per quelle prestazioni superò i 20 mila dollari. La moglie di Trump, che ha ottenuto la “green card” nel 2001 ed è diventata cittadina Usa nel 2006, ha sempre affermato d’essere arrivata nel Paese legalmente e di non avere mai violato le norme sull’immigrazione.

L’articolo dell’Ap è un imbarazzo per Trump: la linea dura contro gli immigrati illegali è al centro del suo programma elettorale, con la proposta di stretta su visti, green card e permessi di lavoro. Melania ha più volte condiviso le tesi del marito raccontando la sua storia d’immigrata regolare.

Se un’ombra s’addensa su Melania, le indagini dell’Fbi per l’emailgate investono da una settimana Huma Abedin, braccio destro di Hillary Clinton, scomparsa dalla campagna proprio per collaborare con l’inchiesta. Huma è ieri tornata in pubblico con la direttrice di Vogue Anna Wintour e la stilista Diane Von Fustenberg, che l’hanno accolta con un abbraccio alla raccolta di fondi per la Clinton organizzata a casa di Connie Milstein, proprietaria del Jefferson Hotel. La Wintour si era già esposta a sua difesa nei giorni scorsi: “Huma è bella e brillante”.

SONDAGGI, CITTADINI E GRANDI ELETTORI 

C’è una stragrande maggioranza di elettori americani disgustati dalla politica: oltre 8 su 10, secondo un rilevamento Cbs/Nyt, sono più nauseati che entusiasmati dalla campagna; ed oltre la metà ritengono difficile che il nuovo presidente, chiunque sia, riesca ad unificare il Paese, ammesso che voglia farlo, almeno nella prima fase del suo mandato.

I sondaggi trasmettono un senso d’equilibrio fra i due candidati, ma con l’inerzia a favore di Trump. Hillary, però, torna avanti di tre punti nel rilevamento giornaliero, piuttosto volatile, di Abc/Wp. Sui siti che aggiornano il computo dei Grandi Elettori, il magnate prosegue il recupero, ma perde slancio: Fivethirtyeight.com, che la scorsa settimana gli dava solo il 12,5 per cento di chances di vittoria, ora gliene dà il 35 per cento (l’un per cento in più di ieri): da 7 a 1 a 2 a 1. Il sito 270t0win.com accredita Hillary di 258 Grandi Elettori e Donald di 163 – se più di ieri – , con 117 in bilico. RealClearPolitics incrementa l’incertezza: 164 a Trump – ieri 180 – , 208 alla Clinton – ieri 226 – , 166 – ieri solo 132 – ancora ballerini negli Stati in bilico. La Cnn riporta, nei suoi calcoli, Hillary sotto la soglia dei 270, da cui, comunque, Trump resta lontano.

CRONACHE DALLA CAMPAGNA

La Clinton prepara per la chiusura della campagna fuochi d’artificio da 4 Luglio: Beyoncé e il marito Jay-Z s’esibiscono a un comizio a Cleveland nell’Ohio, per farle catturare il voto esitante dei Millennials e degli afro-americani; e lunedì, a Filadelfia, sul palco ci saranno Hillary e Bill, Barack e Michelle, doppia coppia di re e regine.

Il litigio del giorno fra i candidati è sul lavoro: la disoccupazione cala al 4,9 per cento e si creano 164 mila posti in una settimana. Hillary vede un’economia “pronta a decollare”, Donald giudica i dati “disastrosi”.

Infine, la condanna dei due stretti collaboratori del governatore Christie induce John Podesta, capo della campagna di Hillary, a chiedere a Trump di rimuoverlo da capo del “transition team”: punture di spillo senza conseguenze e senza impatto.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

Minacce d'attacchi al voto, brogli, hacker, terroristi

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