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Elezioni entro l’anno? Non se ne parla. Un galleggiamento fino alla prossima primavera? Nient’affatto. Scaldare il posto a Matteo Renzi? Non è questa l’intenzione. Con un’intervista al nazionalpopolare Pippo Baudo, domenica pomeriggio, Paolo Gentiloni ha calato le sue carte: intende restare in sella fino alla scadenza normale con un programma che sembra più di inizio che di fine legislatura. Il perno è quel taglio alle imposte sul lavoro promesso da Renzi e non realizzato. Il viceministro all’Economia Enrico Morando ha poi spiegato che si tratta di avviare un programma di riduzione progressivo che comincia nel 2018 e va avanti negli anni successivi, quasi come a ipotecare un futuro che allo stato attuale è tutto meno che prevedibile.

Insomma, Gentiloni parla come capo di un governo che non vacilla nonostante la debolezza interna della maggioranza e l’assedio giudiziario. Non solo, parla come il candidato in pectore per un nuovo governo se nella primavera del 2018 il Pd potrà aspirare a Palazzo Chigi. Così, mentre al Nazareno si dilaniano su chi dovrà guidare il partito, a Domenica In si è presentato l’uomo della stabilità e della continuità. E’ un azzardo? E’ solo wishful thinking? O c’è dell’altro?

La prima risposta che viene in mente è questa: Gentiloni ha il sostegno del Quirinale. Il presidente Mattarella non cessa mai di far capire che non ha intenzione di sciogliere le Camere a meno che non sia costretto da una emergenza improvvisa e da una assoluta mancanza di alternative. Dunque, il presidente del Consiglio ha parlato sapendo di avere dalla sua il sostegno dell’uomo al quale spetta l’ultima parola.

Ciò vale per il breve periodo. Ma non solo. Mattarella non ha il potere di scegliere il prossimo candidato alla guida del governo. Può esercitare una discreta influenza, una moral suasion, perché dopo il voto toccherà a lui dare l’incarico. Ma come primo passo dovrà accettare l’indicazione del partito che avrà più voti. Gentiloni, però, deve avere la sensazione che, nonostante i tanti appetiti, lui resta il volto governativo del partito. A prima vista ciò sarebbe più facile se Renzi dovesse perdere o vincere di stretta misura, ma nessuno esclude che i due abbiano in mente una staffetta: a Renzi il partito al fido Gentiloni il governo. La conditio sine qua non è che l’esecutivo porti a termine le riforme incompiute e, ecco la vera prova del nove, abbia davvero avviato la riduzione delle tasse.

L’annuncio chiave, dunque, dagli schermi del primo canale tv, riguarda proprio le imposte sul lavoro. Ben più di una promessa elettorale, sul piano squisitamente politico è una cambiale per il futuro di Gentiloni e del suo partito. Visto il carattere e lo stile del capo del governo, c’è da pensare che non sia una uscita estemporanea, anche se l’esperienza del passato alimenta un sano pessimismo della ragione.

Il primo problema è come finanziare un provvedimento che, secondo le prime stime ufficiose, costa dieci miliardi di euro. Morando dice con la lotta all’evasione. Vien da rispondere campa cavallo. Non che siano mancati dei risultati, sia chiaro, ma non si possono coprire uscite certe con entrate incerte, lo dice il buon senso e non solo Bruxelles. Torna in ballo allora la spending review, anche questa non ha dato grandi frutti negli anni scorsi perché con una mano si è preso e con l’altra si è dato, come ha scritto nel suo libro “Staus Quo” l’ultimo dei tagliatori incaricati il professor Roberto Perotti. Ora si dice che di qui alla presentazione del Documento di economia e finanza, quindi entro un mese o poco più, verrà lanciata una nuova tranche di risparmi. Vedremo, ma anche in questo caso un po’ di scetticismo non guasta.

Prima di fare i grilli parlanti (i gufi non vanno più di moda) è meglio aspettare le carte. Sul piano economico un taglio alle imposte sul lavoro può dare una spinta dal lato degli investimenti, a condizione che sia certo, duraturo e consistente: dieci miliardi, dunque, dovrebbero essere considerati solo un anticipo. Gentiloni ha legato quest’ultimo scampolo di legislatura e la sua sorte personale a un impegno importante di politica fiscale, non a pure alchimie di partito o a giochi di palazzo. Una risposta alla linea assistenzialista del Movimento 5 Stelle che vuole il reddito di cittadinanza e una sfida a Silvio Berlusconi che giocherà sulle tasse gran parte della campagna elettorale. L’annuncio, insomma, è di per sé importante. Adesso si attendono i fatti.

Come sarà finanziato il taglio (sacrosanto) alle imposte sul lavoro?

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