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Il ministro dei beni culturali Dario Franceschini e “i suoi”, come li ha chiamati La Stampa, sono arrivati per ultimi, dopo le reazioni di Matteo Renzi, di Lorenzo Guerini, vice segretario del partito e presidente della commissione di garanzia del congresso, e di Matteo Orfini, presidente del Pd, ma hanno pur sempre tagliato anche loro il traguardo della smentita. Essi hanno cioè negato i malumori loro attribuiti e la tentazione di chiedere il rinvio delle primarie del 30 aprile per evitare  intossicazioni da cronache giudiziarie. Che sono quelle sulle indagini in corso fra Napoli e Roma sugli appalti della Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione, in cui sono coinvolti a vario titolo il padre di Renzi, Tiziano, appena interrogato per 4 ore nella Capitale, il suo amico imprenditore Carlo Russo, appena rifiutatosi di rispondere agli inquirenti perché all’oscuro degli atti che lo riguardano, e il renzianissimo ministro Luca Lotti, di cui i grillini hanno chiesto la sfiducia in Parlamento.

Oltre a smentire ripensamento o incertezze sul sostegno alla ricandidatura di Matteo Renzi alla guida del Pd, Franceschini ha accusato chi glieli ha attribuiti di voler mettere “zizzania” nei suoi rapporti con l’ex presidente del Consiglio. Come il segretario della Lega Matteo Salvini ha accusato recentemente Silvio Berlusconi di voler fare con i dirigenti del Carroccio sponsorizzando la candidatura del governatore veneto Luca Zaia, leghista pure lui, alla premiership di un nuovo centrodestra. E ciò nel caso in cui lo stesso Berlusconi non dovesse recuperare in tempo per le prossime elezioni la candidabilità preclusagli dalla cosiddetta legge Severino.

I seminatori di zizzania quindi si sprecano davvero nel dibattito politico. E lo confondono ancor più di quanto non faccia la maggior parte dei cronisti giudiziari: almeno di quelli che selezionano notizie, indiscrezioni, voci e quant’altro provenienti dalle Procure e dintorni per complicare la campagna congressuale di Renzi nel Pd.

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Il ricandidato segretario, chiamiamolo così, del Partito Democratico ha comunque segnato qualche altro punto a suo favore, oltre alla smentita di Franceschini, negli sviluppi dell’offensiva in corso contro di lui. Egli è diventato tanto fiducioso da sottoporsi nel salotto televisivo di Otto e mezzo, a la 7, alle curiosità non proprio benevole della stessa conduttrice Lilli Gruber e del direttore dell’Espresso Tommaso Cerno. Ai quali non ha avuto difficoltà a ribattere che i processi, a cominciare da quello al padre Tiziano, si fanno nei tribunali e non sui giornali. Il genitore, accusato di traffico d’influenze illecite, aveva appena respinto ogni addebito davanti agli inquirenti dicendo, come poi avrebbe ripetuto ai giornalisti il suo avvocato, di sentirsi vittima di un “abuso di cognome”. Cioè, di millantato credito da parte di chi avesse trattato affari con la Consip, con l’imprenditore Alfredo Romeo, arrestato, o con altri spendendosi la conoscenza o l’amicizia con lui.

Oltre alla deposizione del padre, uscito libero dal lungo interrogatorio, a dispetto delle voci che avevano prospettato ben altri scenari, Matteo
Renzi ha incassato la confermata solidarietà del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ribadita in una riunione del governo, al ministro Lotti. Che si aggiunge all’accusa di “clown” dei grillini rivolta dal presidente del Pd al concorrente di Renzi alla segreteria Michele Emiliano, spintosi a chiedere sostanzialmente a Lotti le dimissioni come gesto di “generosità” verso il partito e il governo.

A favore del renzianissimo Lotti è inoltre arrivata la notizia, confermata anche dal tono dell’editoriale del direttore del Giornale di famiglia, che Silvio Berlusconi ha ordinato ai suoi di  votare in Parlamento, quando sarà il momento, contro la sfiducia proposta dai grillini, e sostenuta invece dai leghisti -ha precisato l’ex ministro Roberto Calderoli- “solo” in funzione di una crisi e di conseguenti elezioni anticipate.

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Il soccorso maggiore a Lotti, e quindi anche a Renzi, è giunto tuttavia dalla puntata di Bersaglio mobile, condotta da Enrico Mentana su la 7. Dove, in collegamento telefonico, l’avvocato difensore di Marco Gasparri, ex dirigente della Consip risultato “a libro paga” di Alfredo Romeo, ha rivelato clamorosi infortuni nei quali sono incorsi inquirenti e Carabinieri nelle intercettazioni e altro.

Una postazione per gli ascolti e le riprese negli uffici della Consip o dello stesso Gasparri fu incautamente collocata, davanti agli occhi dell’avvocato dell’inquisito, sul tetto dell’edificio in cui si trova la sua abitazione, vicina evidentemente alla sede della società. Altri indagati per gli appalti Consip furono incautamente fermati per strada e perquisiti per un’operazione apparentemente antidroga che fece loro capire di essere sotto controllo per altri motivi.

La stessa deposizione di Marco Gasparri agli inquirenti per ammettere i suoi rapporti con Romeo fu conseguente al consiglio datogli dal suo avvocato di parlare per evitare l’arresto, visto che era intercettato.

Nel contesto di una simile gestione delle indagini riesce francamente meno convincente lo scenario accreditato sino ad ora dagli inquirenti di Lotti, all’epoca sottosegretario di Renzi a Palazzo Chigi. Che si sarebbe attivato, al pari di generali dei Carabinieri e quant’altri, per avvisare i vertici amici alla Consip dei controlli ai quali erano sottoposti perché li potessero neutralizzare.

La valenza di queste rivelazioni a Bersaglio mobile si è colta bene vedendo la sorpresa e il disagio di un ospite particolare nello studio: Marco Lillo, scuppista – da scoop – giudiziario del Fatto Quotidiano, che per primo diede la notizia di Lotti indagato per violazione del segreto d’ufficio, o come altro si chiama il reato contestatogli. Il direttore di quel giornale, Marco Travaglio, ha a lungo protestato contro lo scetticismo o l’indifferenza altrui alla gravità della situazione giudiziaria del ministro amico di Renzi.

Vi racconto il tramestio sull'inchiesta Consip tra Fatto Quotidiano di Travaglio e Matteo Renzi

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