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Grande è la confusione sotto il cielo della politica, ma la situazione non è eccellente. In questi giorni sta prendendo corpo il tema della cosiddetta omogeneità o armonizzazione delle due leggi elettorali. Il dibattito appare, però, viziato da una mancata riflessione preliminare su che cosa significhi esattamente dotarsi di due sistemi omogenei in un quadro costituzionale in cui vi sono due camere elettive, che svolgono le stesse funzioni, ma che hanno una struttura diversa e un corpo elettorale differente.

È utile ricordare che, nella storia repubblicana, non si è mai votato con leggi costruite in modo omogeneo. Solo grazie alle caratteristiche del sistema politico, il risultato della composizione dei due rami era simile. Ecco il punto centrale di cui il dibattito di queste settimane dovrebbe tenere conto: gli effetti politico-costituzionali di una legge elettorale cambiano in funzione del sistema politico in cui viene collocata in un determinato momento.

Nella situazione attuale, andare alla ricerca di due sistemi omogenei per Camera e Senato, per perseguire l’obiettivo di raggiungere, con il voto, una maggioranza chiara, è una pura illusione, un mito da cui non si riesce a uscire a causa della mancata presa d’atto del risultato del referendum costituzionale. Allo stato delle cose il 40% alla Camera appare una chimera per tutte le forze politiche, a prescindere dalle alchimie che si possano mettere in campo con eventuali liste frutto di alleanze anche soltanto tattiche. Ma pure ammesso che una lista riesca a conseguire quel risultato, che benefici decisivi ne trarrebbe? Al Senato il riparto dei seggi è proporzionale, con la conseguenza che il vincitore alla camera dovrebbe comunque allearsi con altri per governare.

La proposta di inserire anche al Senato un analogo premio nazionale appare di buon senso ma si scontra con due obiezioni. È vero che il vincolo dell’attribuzione dei seggi su base regionale è una mera interpretazione e non una norma esplicita contenuta nella Costituzione, e tuttavia non avrebbe alcun senso scrivere un’altra legge elettorale di dubbia costituzionalità, con il rischio di vederla smembrata dalla Corte. E comunque, nulla può assicurare a priori che, in presenza di elettorati diversificati, i premi non vengano conseguiti da due forze diverse. Con tanti saluti all’armonia tra i risultati per garantire la governabilità.

Altra proposta in campo: riscriviamo tutto e torniamo al Mattarellum per entrambe le camere. Ottima legge, quando venne applicata e prima che fosse soppressa ancora giovane. Peccato che, in questo contesto politico, anch’essa non potrebbe assicurare alcunché sul piano della semplificazione del quadro politico e dell’attribuzione di una maggioranza chiara in grado di sostenere il governo.

E allora, le forze politiche si mettano il cuore in pace. Purtroppo o per fortuna, il referendum e la sentenza hanno allontanato per molto tempo la prospettiva di assumere i meccanismi collaudati di una democrazia competitiva e deliberante. Pertanto il tema dell’omogeneità appare sostanzialmente un falso problema, più un fatto di estetica dell’ordinamento giuridico che di concreta pregnanza politica sul piano della governabilità del Paese. Forse i partiti farebbero meglio fin d’ora a recuperare la propensione al compromesso post-elettorale tipica dei partiti tradizionali. Servirebbe più capacità politica, mentre sembra che solo il peggio del passato si proietti inesorabilmente.

(Articolo pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

 

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