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Dopo che l’Fbi ha pubblicato le carte di una vecchia indagine su Bill Clinton, l’ultima settimana della campagna elettorale per Usa 2016 s’è ormai trasformata in un braccio di ferro tra federali e democratici. Ma per oltre 26 milioni di cittadini statunitensi, più di un decimo dell’elettorato, quanto avviene in questi giorni è ininfluente: loro hanno già votato in anticipo. Un dato doppio rispetto a quanti avevano usato nel 2012 l’early voting a una settimana dall’Election Day.

Ieri, Hillary Clinton ha continuato per il quarto giorno consecutivo a fare campagna senza la sua più stretta collaboratrice, Huma Abedin, cui l’Fbi ha sequestrato il computer che condivideva con l’ex marito Anthony Weiner, trovandovi email collegabili al cosiddetto emailgate, cioè l’uso, da parte della candidata, di un server privato invece che di quello istituzionale quand’era segretario di Stato.

A darle una mano ci pensa in Ohio Barack Obama. “Non fatevi fregare” da Donald Trump, avverte il presidente, demolendo le credenziali esibite dal magnate come campione della classe media. Trump, ammonisce Obama parlando in un’Università nei pressi di Columbus, “non ha alcun rispetto per i lavoratori” e “non vi lascerebbe entrare in uno dei suoi hotel a meno che non andiate a fare le pulizie”.

DOPO L’INCHIESTA SU HILLARY, LE CARTE SU BILL 

L’Fbi ha ieri pubblicato i documenti di un’indagine ormai archiviata: quella sulla grazia data nel 2001 dall’allora presidente Bill Clinton a Marc Rich, un finanziere amico, scappato in Svizzera per sfuggire alle accuse di evasione fiscale. Ed è subito ripartita la polemica sulla tempistica con cui l’Fbi si muove: appena quattro giorni fa il direttore James Comey aveva annunciato la riapertura dell’inchiesta sulle email di Hillary.

Le 129 pagine relative alla vicenda di Rich sono state messe sul sito dell’Fbi, nella pagina in cui vengono resi pubblici i documenti “desecretati” in base al Freedom of Information Act. “Non essendoci una scadenza per la pubblicazione di tali informazioni, questa vicenda è strana, singolare”, nota la campagna democratica: “L’Fbi posterà anche qualcosa su Trump?”.

La controversa vicenda tornata all’attenzione delle cronache è quella del finanziere Marc Rich – morto nel 2013 -, che fu incriminato nel 1983 e che fuggì in Svizzera per non essere processato. Clinton gli diede la grazia alla fine del suo secondo e ultimo mandato, all’inizio del 2001.

Dai documenti emerge un collegamento tra la Clinton Foundation e la cospicua donazione da parte di una persona non identificata a favore della Clinton Presidential Library. La moglie di Rich, Denise, s’era impegnata a versare alla Library 450 mila dollari.

A indagare sulla vicenda a partire dal 2003 fu proprio James Comey, oggi boss dell’Fbi, allora vice-procuratore generale. L’inchiesta si chiuse con un nulla di fatto e il caso fu archiviato nel 2005.

COME TRA IL MARTELLO E L’INCUDINE 

Il New York Times lo mette sulla graticola, paragonandolo al più celebre, e per molti versi più famigerato suo predecessore, Edgar Hoover, l’uomo che progettò d’indurre al suicidio il leader non violento dei neri Martin Luther King, facendone intercettare le conversazioni. Ma lo stesso New York Times lo assolve, quando i democratici lo aggrediscono perché non apre un’inchiesta su Donald Trump e i suoi rapporti con la Russia e con Putin.

Citando sue fonti, il giornale afferma che l’Fbi non ha finora trovato legami tra Trump e Putin e pensa che gli hacker russi mirino a minare le elezioni più che a favorire il magnate. Indicazioni che sono una zeppa per l’offensiva della campagna di Hillary Clinton e dei notabili democratici contro il direttore dell’Fbi James Comey, accusato di usare “due pesi e due misure” tra le mail della democratica e le combutte del repubblicano. Si conferma, invece, che i federali indagano sui rapporti con gli ucraini filo-russi dell’ex capo della campagna di Trump Paul Manafort.

E la Russia non è il solo fronte caldo per il magnate. Il Nyt, che non gliene passa una, lo accusa di avere usato metodi ai limiti dell’illecito per evitare di pagare le tasse, ampliando gli elementi a suo carico già raccolti.

Nel bene e nel male, demonio o provvidenza, Comey è il personaggio che nessuno s’aspettava d’Usa 2016. Il segretario alla Giustizia Loretta Lynch, pur in disaccordo con lui sulla riapertura dell’inchiesta sull’emailgate che coinvolge Hillary, lo incontra per fare il punto sulle indagini e gli conferma la propria fiducia. Opportunismo istituzionale o sincera convinzione? Impossibile dirlo: il dipartimento alla Giustizia vuole fare in fretta, ma non vuole lasciare strascichi.

L’ANDAMENTO DEI SONDAGGI 

In quasi tutti i sondaggi che si succedono a ritmo intensificato e che ormai tengono conto dell’annuncio della riapertura dell’inchiesta sulle mail, Hillary resta in testa, con vantaggi però erosi rispetto agli analoghi rilevamenti precedenti: cinque punti – contro sei la settimana scorsa – per Reuters/Ipsos (44 a 39 per cento), sei punti per la Nbc (47 a 41 per cento).

Fa eccezione l’aggiornamento quotidiano di Abc/Wp, che dà Trump avanti di un punto, 46 a 45 per cento – era già successo a ottobre, in un sondaggio Rasmussen -. Nella media di RealClearPolitics, Hillary è in testa appena del 2,2 per centp, ma sta meglio nella conta che conta, quella dei Grandi Elettori.

Dalla Virginia, uno degli Stati in bilico, vengono buone notizie per l’ex first lady che resta avanti bene. Dal Wisconsin, ne viene una buona per Donald Trump: lo speaker della Camera Paul Ryan ha già votato e ha votato per lui, nonostante le riserve espresse e le distanze prese.

Trump nei comizi batte sul tasto delle mail. La Clinton sposta il discorso. A Tucson, in Arizona, aveva parlato delle armi. In Florida, torna sulle accuse di sessismo al rivale e si fa introdurre sul palco dall’ex Miss Universo Alicia Machado, quella che Trump chiamò “Miss Porcellino” perché è ingrassata e “Miss Col”’ perché è ispanica.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

Dopo l'inchiesta su Hillary, le carte su Bill: il caso Rich e l'ombra di Hoover

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