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Il fallito attentato a Donald Trump ha aperto una fase completamente nuova in una campagna elettorale già caratterizzata da una fortissima tensione. Ma sul piano tecnico, quali sono gli impatti precisi? Il candidato repubblicano ha già ipotecato la sua vittoria nella corsa alla Casa Bianca, oppure i democratici possono ancora trionfare? Ci sarà una trasformazione nel confronto elettorale, o rimarrà tutto come prima? Formiche.net lo ha chiesto a Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti, nonché Sherpa del Presidente del Consiglio per il G8 e per il G7.

Che lettura possiamo dare ai fatti di ieri?

Ci sono due dinamiche su cui riflettere riguardo a questo attentato drammatico, che per una differenza di alcuni millimetri non ha eliminato un candidato alla Casa Bianca. Attentato che si inserisce in una lunga scia di episodi sanguinosi e dolorosi che ha costellato la politica americana. Ma, al contrario degli altri, esso avviene nel nuovo contesto informatico dell’immagine immediata, ed ha dei riflessi che nessun altro episodio del genere in passato aveva avuto. Neanche l’assassinio di Kennedy ha causato una reazione così immediata. Il secondo punto su cui soffermarsi è la lucidità di Trump, che ha reagito in maniera molto razionale e senza perdere la calma. Quel pugno alzato, accompagnato da quelle tre parole “Fight, fight, fight”, rimarranno negli annali della comunicazione politica. È un’immagine così forte da ristabilire i binari della competizione elettorale.

Che cosa intende?

Da una parte c’è il comandante ferito che incita i suoi a continuare il combattimento. Con dettagli che contano, basti pensare al fatto che è senza scarpe, dettaglio che potrebbe suggerire una personalità meno imponente, certamente non l’immagine di un vincitore. Ma contribuiscono alla costruzione di un’immagine che è, devo dire, eccezionale. Dall’altro lato c’è invece l’immagine del presidente esperto, con alle spalle quaranta o cinquant’anni di carriera politica, che risponde con la calma, con l’invito ad abbassare i toni in questo confronto elettorale che è diventato anche violento. Nei prossimi tre mesi è su questi elementi che si giocherà la campagna elettorale.

A proposito di campagna elettorale, come cambieranno le strategie delle due fazioni?

Trump forse proverà a moderare i toni, anche se la sua base non è così moderata. E una campagna basata su messaggi e su slogan che trasmettano il di un Trump “miracolato” potrebbe funzionare. D’altronde, nell’immaginario collettivo il fatto che lui sia sopravvissuto ad un attentato che poteva ucciderlo altro non è che un miracolo. Mentre Biden continuerà a puntare sulla sua esperienza e sui risultati del suo operato, poiché potrà contare sui risultati economici e sociali raggiunti negli ultimi quattro anni. E anche la scelta dei vice avrà un ruolo di rilievo nell’approccio comunicativo. Entro giovedì si dovrebbe sapere quale sarà il vice di Trump. Mentre fino qualche giorno fa Vance sembrava il favorito.  Ma adesso l’arrivo a Milwakee della Hailey, che invece ha un profilo politico più moderato, potrebbe significare che il candidato repubblicano, avendo conquistato i più fedeli con l’immagine della violenza subita, voglia adesso accattivarsi la componente più moderata del suo partito, scegliendo un vice con una linea politica meno contundente rispetto alla sua.

La interrompo. In campo democratico, oltre la scelta dei vice, potrebbe essere in ballo anche la scelta del candidato stesso, o no?

A questo punto è difficile che Biden faccia un passo indietro, proprio perché questo confronto oramai è mediatico. Qualsiasi nuovo volto sarebbe in difficoltà. E poi con i sondaggi dei prossimi giorni, che immagino essere più a favore di Trump, nessuno vorrebbe esporsi al rischio di una sconfitta elettorale alquanto. Anzi, dato che questa battaglia contro Trump è oramai in salita, e la sconfitta sembra sempre più probabile, non è da escludere che i democratici accettino la sconfitta quasi certa, e inizino a lavorare sin da subito alla costruzione di un candidato che tra quattro anni potrà affrontare la controparte repubblicana. E presumo che Kamala Harris rimarrà come vice. Anche perché è una figura perfetta per il ticket democratico.

Ci dia più dettagli.

La battaglia elettorale negli Stati Uniti è anche uno scontro pubblicitario. E nessun big del partito democratico è disposto a rischiare una persona che sembra, almeno in questo momento, vincente. Invece Harris è già lì. E ha un background di peso: è stata un’ottima procuratrice della Repubblica in California, ha una bella storia da raccontare, che in questo momento non è stata raccontata molto. Incrementando il livello di attenzione su di lei, Kamala potrebbe veramente essere un’ottima spalla. Ed è anche giovane rispetto a Biden, e se un domani le incertezze fisiche di quest’ultimo si accentuassero, sarebbe pronta a prendere il comando.

Quello dell’età è un fattore che ha caratterizzato, e continuerà a caratterizzare le presidenziali Usa del 2024?

Qui si parla molto dell’età, ma più che di età il tema dovrebbe essere la condizione fisica. I due candidati sono quasi coetanei, Trump ha quattro anni in meno di Biden, non ne ha venti di meno. Ma dimostra una forza e una capacità di reazione che Biden non ha, e che forse non ha mai avuto, essendo un uomo di raccordo, di tessitura. Un politico più europeo, se vogliamo. L’altro è invece un politico di slogan, annunci, proclami. Una persona che tocca più l’immaginario collettivo, in un mondo dominato da notizie brevi e non da approfondimenti.

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