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Tra le prime conseguenze del pontificato di Francesco c’è stata una marcata universalizzazione della Chiesa cattolica. Spesso si è detto che la sua non è più una Chiesa “eurocentrica”, o occidentale. È anche per questo che ha sorpreso molti la sua scelta di tornare a fregiarsi del titolo di patriarca d’Occidente. Il titolo era stato abbandonato da papa Benedetto XVI nel 2006. Ora è ricomparso, come attesta il nuovo annuario pontificio. Il primo ad usarlo fu papa Teodoro I nel 642. Poi divenne uno dei tanti nell’epoca della moltiplicazione dei titoli pontifici, diciamo dal XVI secolo. Ora, che proprio lui ricorra proprio al titolo di “patriarca d’Occidente” sorprende. È giusto che sorprenda. E allora è il caso di capire, o cercare di capire per quanto ci è possibile.

Come è noto Francesco è impegnato in un complesso processo, fondamentale: vorrebbe rendere la sua Chiesa, quella cattolica, sinodale. Quella attuale è gerarchico piramidale, clericale, segue cioè il principio della fontana: l’acqua che irriga il mondo zampilla da Roma e da qui raggiunge tutto il mondo. Esprima una visione del mondo, una cultura, un ordine, immodificabili e validi ovunque. La Curia Romana esprime una cultura, nella quale vengono cooptati singoli originari di ogni parte del mondo. Nella Chiesa sinodale (termine che viene dal greco e che vuol dire “camminare insieme”) le cose non vanno così. No, la Chiesa tutta sinodale riconosce le diversità e gli stessi fedeli laici vi hanno diritto di cittadinanza e di parola (e pensiero) come e quanto i sacerdoti. E chi è il papa allora nella Chiesa sinodale? Non è quell’uomo “infallibile” che detta tutto a tutti? Direi che nella Chiesa sinodale il papa è il garante dell’unità.

E come funzionerebbe questa Chiesa sinodale? Lo ha spiegato lo stesso Francesco: “In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale, il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli “organismi di comunione” della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col ‘basso’ e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione”. Poi ci sono i vari livelli intermedi: “In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare ‘decentralizzazione'”.

Poi si arriva al livello della Chiesa universale. È interessante allora notare che in occasione del varo della recente Dichiarazione che prevede la possibilità di impartire una benedizione pastorale (non liturgica) a coppie irregolari o omosessuali, il Vaticano non abbia eccepito davanti al rifiuto di alcuni vescovi o conferenze episcopali di avvalersene. E’ il pluralismo che, se prevede una possibilità, non la impone, rispetta le specificità, a mio modo di vedere i ritardi di alcune realtà. Non camminiamo tutti con la stessa andatura.

E come si rapporterà questa Chiesa sinodale con i cristiani non cattolici? Io non penso che Francesco pensi di sostituire l’idea di cristianità con quella di una cattolicità imperialista. La sua Chiesa è globale ma non intende assorbire, annettere le altre Chiese. Piuttosto pensa a una “cristianità sinodale”, nella quale le diversità sono riconosciute, anzi, apprezzate, come tutto ciò che arricchisce. E l’uniformità mai arricchisce. Quindi diciamo che la sinodalità all’interno comporta sinodalità anche all’esterno.

Nella visione di papa Francesco potrebbe esserci la consapevolezza della vecchia realtà ecclesiale del cristianesimo del primo millennio, quello in cui Teodoro I sceglieva il titolo di Patriarca d’Occidente. La Chiesa antica infatti aveva cinque sedi patriarcali, per la precisione Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Si chiamava “Pentarchia” e al suo interno la sede patriarcale più ad Occidente era quella di Roma.

Da quel tempo molto è cambiato, ci sono stati scismi e scomuniche. Ma tornare a pensare a un cristianesimo non è impossibile se si considera la diversità una ricchezza e quindi l’incontro non un’annessione ma la capacità di unirsi sinodalmente. Infatti, sempre nel citato discorso tenuto in occasione del 50esimo anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi (che papa Paolo VI riuscì a istituire sebbene come organismo consultivo del papa) Francesco ricordò di aver detto ricevendo una delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli che “l’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese”.

Questa visione a mio avviso comporta una incompatibilità, quella con qualsiasi visione etnica della Chiesa, cioè di Chiesa di una tribù, chiaramente esposta dal patriarca di Mosca, Kirill. Il discorso di Francesco si radica nell’esempio della Chiesa antica ma nella consapevolezza dei problemi dell’oggi. E nazionalismo e tribalismo non possono che essere alti nella sua percezione dei problemi odierni. Lui sa che la Chiesa etnica esclude, alza steccati, la Chiesa sinodale include. La Chiesa etnica del patriarca di Mosca (e di tutta le Russia) è a mio modo di vedere un modello di cristianismo incompatibile con la Chiesa sinodale di cui parla Francesco. Non penso che per Francesco l’Occidente abbia ceduto al satanismo e quindi può riprendere il titolo patriarcale in una prospettiva che per altro è molto diversa.

Chi meglio di altri ha spiegato il senso di questa Chiesa etnica, nazionalista, è Lena Surzhko Harned, che ha spiegato così la recente edificazione della cattedrale delle forze armate russe: “Il campanile della chiesa delle Forze armate è alto 75 metri e simboleggia il LXXV anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Il diametro della cupola è di 19,45 metri e segna l’anno della vittoria: 1945. Una cupola più piccola misura 14,18 metri: rappresenta i 1.418 giorni di durata della guerra. I trofei bellici sono fusi nel pavimento, così che ogni passo sia un colpo ai nazisti sconfitti. Gli affreschi celebrano la potenza militare russa lungo la storia, dalle battaglie medievali alle guerre contemporanee in Georgia e Siria. Gli arcangeli guidano gli eserciti celesti e terreni, Cristo brandisce una spada e la sua beata Madre, raffigurata come la Madrepatria, gli dà sostegno. Gli affreschi celebrano anche l’occupazione della Crimea iniziata nel 2014, con persone esultanti che reggono uno striscione recante la scritta ‘Siamo insieme'”. E qui la differenza tra “siamo” e “camminiamo” diventa forte.

Francesco, patriarca dell’Occidente. La sinodalità che esclude Kirill

Francesco sa che la Chiesa etnica esclude, alza steccati, la Chiesa sinodale include. La Chiesa etnica del patriarca di Mosca (e di tutta la Russia) è a mio modo di vedere un modello di cristianismo incompatibile con la Chiesa sinodale di cui parla il pontefice. La riflessione di Riccardo Cristiano

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