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E’ noto ai lettori di Formiche.net che chi scrive è uno dei pochi parlamentari italiani non-ammiratori di Putin e della sua “democratura”. Ed è anche noto – per quel poco che vale – che, su queste colonne, fui tra coloro che non solo previdero la vittoria di Trump, ma in buona misura la auspicarono, rispetto a una Clinton candidata dell’establishment e dello status quo.

Ora, mi pare che in Italia e anche tra gli osservatori internazionali prevalga un bizzarro approccio “tutto bianco oppure tutto nero” per cui guardare con speranza e con una doverosa apertura di credito alla nuova amministrazione americana sia – secondo molti – incompatibile con il continuare a esprimere dubbi e preoccupazioni sui comportamenti di Mosca. Così – e la cosa mi sgomenta – leggo e sento “pacchetti argomentativi chiusi”, direi preconfezionati: chi sta con Trump deve farsi piacere anche Putin, e chi solleva perplessità su Putin non può farsi piacere Trump. Ovviamente sto ultrasemplificando, e non voglio caricaturizzare opinioni diverse dalle mie.

Dico però che, a mio modesto avviso, varrebbe la pena esplorare la complessità, provare ad articolare meglio i ragionamenti, e anche fare i conti con una realtà magmatica, contraddittoria, tutta da interpretare.

Provo a mettere in fila alcune riflessioni personali, che per me stanno tutte insieme, e non possono essere “comodamente” separate.

Donald Trump ha vinto perché ha meritato di vincere. In un ambiente elettorale che voleva il cambiamento, ha espresso il cambiamento, mentre la sua avversaria – volente o no – incarnava il mantenimento dell’esistente.

La sua vittoria non può essere contestata politicamente. Chi lo fa, vuole avvelenare il clima, e far prevalere (mi spiace che Obama abbia scelto questo modo di uscire di scena) una inaccettabile “domestic partisanship” rispetto a un onesto riconoscimento del risultato elettorale.

Fabbricare documenti farlocchi contro Trump, alla fine della fiera, nuoce alla credibilità di chi li avalla. Della stampa: dopo mesi di lagna sul “post-truth”, proprio i media mainstream si sono fatti veicolo di una patacca, inseguendo Buzzfeed. E delle agenzie di intelligence, ahinoi: delle quali, a questo punto, anche quando solleveranno questioni serissime, Mosca potrà furbescamente dire in futuro che, se lo stesso Presidente americano ne dubita, a maggior ragione potranno dubitarne gli altri…

Piaccia o no, in politica estera, Trump ha scelto in campagna elettorale il profilo del “deal-maker”, rivendicando la sua capacità di trattare. Questo apre oggettivamente un’incognita su tutto: sulla Russia, sulla Cina, su come si confronterà con ogni interlocutore. Amici e nemici farebbero bene a ricordare al President-elect che è bene dialogare senza mai dimenticare valori e principi, e partendo da posizioni di forza, e non di debolezza.

E’ vero che troppe volte Trump è sembrato eccessivamente accondiscendente rispetto a Mosca. E’ però pur vero che (grande notizia!) ha scelto come capo della sicurezza nazionale il generale Flynn, autore con Michel Ledeen di un volume che mette in fila con ammirevole durezza le responsabilità presenti (non solo quelle passate) di Mosca e del regime di Putin. Ed è curioso che molti rimproverino a Flynn di essere “russofilo” e ignorino questo testo, a mio avviso di enorme valore strategico.

Il designato segretario alla Difesa, generale Mattis, ha detto a chiare lettere che Mosca è un avversario strategico (“la principale minaccia per la sicurezza nazionale”). Lo ha fatto nelle sue audizioni parlamentari in modo netto e senza sconti.

Se c’è invece qualcuno che ha consentito a Putin di conquistare la posizione di vantaggio geopolitico in cui oggi si trova, è proprio Obama, con la sua politica di ritiro e arretramento da tutti i teatri decisivi.

Putin è e resta Putin, e non è possibile farsi illusioni. E’ un uomo formato nel e dal Kgb. Sotto di lui, sono stati praticati, in sequenza: l’eliminazione fisica degli oppositori, l’assassinio di giornalisti scomodi, la repressione dei dissidenti, la persecuzione degli omosessuali, l’annessione della Crimea, l’invasione dell’Ucraina, e da ultimo crimini di guerra ad Aleppo. In Siria, in particolare, la gran parte (statistiche arrivano fino all’80-90%) dei bombardamenti aerei russi non hanno avuto come bersaglio Isis, ma gli avversari del dittatore Assad.

E’ altamente probabile che abbia provato a interferire nel processo elettorale americano. Occorre indagare senza remore.

In ogni caso, si può, anzi si deve parlare con Putin. Basta sapere chi sia. Un proverbio inglese dice che si può anche mangiare con il diavolo: ma occorre un cucchiaio molto lungo.

Occorre respingere il tentativo putiniano di mettere in burla la Nato. L’articolo 5 del Trattato Nato implica che, se un paese membro è attaccato, l’alleanza deve difenderlo. E’ evidente il tentativo di Putin, con le sue manovre ai confini dei Paesi baltici, di capire se e quando possa crearsi un “incidente”, e di far sì che la Nato sia in imbarazzo. Se non ci fosse risposta, infatti, Mosca potrebbe mostrare che anche la Nato è una tigre di carta.

In nessun modo si può pensare a un “disimpegno” della Nato dal teatro europeo e mediterraneo. Sarebbe paradossale che qualcuno pensasse a una specie di nuova Yalta, che stavolta consegnasse all’influenza di Mosca ciò che allora le fu fortunatamente sottratto e precluso.

E’ evidente a chiunque abbia occhi per vedere e orecchie per sentire, che l’Europa già annega in un mare di propaganda filo-russa: Russia Today, Sputnik, più veline “bevute” (consapevolmente o inconsapevolmente) da politici e giornalisti italiani, francesi, e di molti altri paesi. Ed è evidente che, non solo in Francia e in Germania, ci sono forze politiche disponibili a fare eco alle più strampalate (e spesso alle più inaccettabili) tesi filo-Mosca.

Assistiamo a un doppio capovolgimento di ruoli rispetto alla stagione della Guerra Fredda. Allora eravamo noi (noi Occidente, e meno male!) a usare l’argomento della deterrenza (rivendicando un arsenale bellico, nella speranza di non doverlo mai utilizzare), difendendo oppositori e dissidenti, e soprattutto usando l’arma dell’informazione. Oggi è Putin a giocare all’attacco, con un Occidente ripiegato in difesa. Ma non possiamo farne una colpa a Trump, almeno per ora: semmai, al suo predecessore.

Sappiamo che gli ultimi due presidenti Usa, lontanissimi l’uno dall’altro, erano partiti con l’idea di un’evoluzione positiva dei rapporti con Mosca. Sappiamo come invece sia finita. Urge molta cautela. Nessuna illusione, please.

Perché sono trumpofilo ma non putinofilo

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