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Premesso che ogni approfondimento sul terrorismo può essere di aiuto, se il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, dice che uno dei più importanti risultati del lavoro della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista (presentati il 5 gennaio) è di aver focalizzato nelle carceri e nel web i principali incubatori del radicalismo jihadista, possiamo aggiungere che non ci voleva una commissione per apprenderlo perché gli investigatori e gli analisti di intelligence l’avevano capito da tempo.

Da anni si monitora e si indaga sul web, da molto tempo si monitorano le carceri, in particolare dopo l’approvazione del decreto antiterrorismo del 2015. Se si consultano gli archivi, per esempio, si può ricordare che nel settembre 2000 l’allora comandante del Ros dei Carabinieri, generale Sabato Palazzo, in un convegno a Courmayeur disse che il terrorismo integralista islamico era una minaccia per tutti, anche per l’Italia, e che sfruttava “l’ampia diffusione di Internet, nonché la sua facilità di accesso, per divulgare informazioni sulle tecniche di costruzione di ordigni esplosivi, di sabotaggio e di disinformazione”. Eravamo agli albori del web e un anno prima dell’11 settembre, ma sono parole attualissime.

Dunque, diamo per scontato che antiterrorismo e servizi segreti continueranno a operare bene come stanno facendo. Solo per memoria, il direttore dell’Aisi, Mario Parente, al convegno sul terrorismo organizzato dai Carabinieri, di cui Formiche.net scrisse il 1° dicembre, spiegò che l’azione preventiva si svolge “monitorando il web, dove gli “islamonauti” radicali alimentano il dibattito jihadista, e i luoghi di aggregazione che non sono più quelli di una volta”. Sempre meno le moschee, sottolineò il capo del servizio segreto interno, e più internet point, negozi di kebab, macellerie islamiche, carceri, strutture di accoglienza per immigrati. Le tendenze alla radicalizzazione che si notano oggi in Italia, ha detto Lorenzo Vidino, presidente della Commissione di studio, “sono quelle che altrove sono comparse 5-10 anni fa: la repressione non basta e occorre più prevenzione”. Infatti, aumentano le espulsioni di soggetti seriamente a rischio: il 5 gennaio è stato espulso un tunisino (siamo arrivati a 134 da gennaio 2015), il 4 gennaio era toccato a un marocchino e il 29 dicembre a un altro tunisino: tre persone in una settimana sono un segnale serio.

Il punto centrale è però ben chiaro: se è giusto non mettere sullo stesso piano terrorismo e immigrazione, si può forse abusare della celebre teoria di Aldo Moro parlando di “convergenze parallele” tra i due fenomeni. Non è certo un caso che nella conferenza stampa sui risultati di quella Commissione sia stata proprio l’immigrazione il tema scottante, che prefigura un interessante dibattito parlamentare. Infatti il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha annunciato che presenterà una proposta organica alle Camere in relazione all’apertura di Cie (Centri di identificazione ed espulsione) in ogni regione, che “non avranno nulla a che fare con quelli del passato” e che saranno discussi nella Conferenza Stato-Regioni già convocata per il 19 gennaio. Un Cie inteso come “struttura piccola, con governance trasparente e un livello molto alto di dignità della persona” è la descrizione fatta dal ministro, che il 16 sarà a Tunisi per discutere dei rimpatri e a breve anche a Tripoli. Entro gennaio, inoltre, sarà fatto il punto con l’Anci sul controverso tema dell’accoglienza diffusa, visto che oggi solo 2.600 Comuni su quasi 8mila ospitano immigrati.

In un’intervista a L’Espresso anticipata dal settimanale, Minniti conferma quanto scritto nei giorni scorsi da alcuni quotidiani e che si tradurrà in proposte legislative: un primo pacchetto di provvedimenti sull’immigrazione, il secondo sulla sicurezza urbana; quindi l’annullamento del secondo grado di giudizio in caso di negazione del diritto d’asilo per accelerare le procedure di espulsione; infine, un pacchetto di interventi per le città e le periferie. Nell’intervista il ministro dell’Interno confessa di avere “da tempo un’idea: sfatare il tabù che le politiche di sicurezza siano par excellence di destra. È vero che spesso un impulso securitario nella società e nell’opinione pubblica produce uno spostamento a destra dell’elettorato, ma sono da sempre convinto che la sicurezza sia pane per i denti della sinistra”. Minniti rilancia così un tema, culturale oltre che politico, che già apparve a metà degli anni Novanta nei primi governi di centrosinistra e che, più in generale su difesa e sicurezza, creò qualche problema all’Ulivo vista la contrarietà della sinistra più estrema.

Ecco, quindi, che quando i testi delle proposte arriveranno in Parlamento potrebbe profilarsi un embrione di “larga coalizione”: fatti salvi emendamenti e correzioni varie, a occhio minoranza Pd, Sinistra italiana e forse Movimento 5 stelle potrebbero essere contrari e quasi tutto il centrodestra a favore. Alla fine di luglio 1998, a pochi mesi dall’approvazione della legge Turco-Napolitano, nei centri di accoglienza c’erano 2.086 immigrati e ne erano spariti 1.289. Incidenti, fughe, feriti e interventi della polizia erano all’ordine del giorno. Oggi, con cifre centuplicate, tutti devono avere ben chiaro che l’Italia è una polveriera: è urgentissimo stringere accordi con altri Paesi per velocizzare i rimpatri (in proposito Gentiloni ha parlato di una “politica di rigore”), dall’altro l’iter parlamentare sulle proposte annunciate dev’essere rapidissimo per dare segnali concreti a cittadini sfiancati. Altrimenti, gli incidenti del 1998 al confronto sembreranno un petardo.

Chi loda (e chi critica) le misure di Marco Minniti per la sicurezza anti terrorismo

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