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Il caso, che si sta rivelando il peggiore nemico di Beppe Grillo, come il Pil per Matteo Renzi, vuole che il Campidoglio targato 5 Stelle sia, a dir poco, nel pallone mentre esce un film intitolato “Rimbocchiamoci le mani” con la vistosa partecipazione, nei manifesti, della popolarissima e ancora avvenente Sabrina Ferilli. Alla quale il vecchio ed ex compagno di partito Emanuele Macaluso con aria giustamente beffarda va chiedendo in questi giorni se non si sia pentita di essersi vantata nella campagna elettorale di primavera di tirare la volata, con interviste e altro, a Virginia Raggi, la candidata grillina a sindaco, uscita non vittoriosa ma trionfante dalle urne nel ballottaggio col vice presidente piddino, e renziano, della Camera Roberto Giachetti. Un trionfo, in verità, relativo a causa della scarsa affluenza alle urne, ma pur sempre trionfo, per carità. Le percentuali si fanno sui votanti quando si proclamano i risultati elettorali.

Con tutto quello che sta accadendo negli uffici del Campidoglio e nei locali parlamentari o d’altro tipo dove si riuniscono i dirigenti del movimento grillino, di cui si sentono le grida, secondo parecchie cronache, anche nelle strade sottostanti, e non solo nei corridoi attigui, c’è da chiedersi se ai poveri romani basta rimboccarsi le maniche. E non occorra invece rimboccarsi pure i pantaloni per muoversi nel nubifragio di stranezze, pasticci e bugie rovesciato sulla città da questi campioni un po’ malmessi – bisogna riconoscerlo – dell’onestà, della trasparenza, della novità e di tutte le altre belle cose vantate dai pentastellati.

Lo sconcerto ha colpito anche gli amici del Fatto Quotidiano, per quanto costoro cerchino di consolarsi, diciamo così, accostando alle bugie dei grillini quelle, vere o presunte, di Matteo Renzi nella campagna referendaria sulla sua riforma costituzionale, o del sindaco di sinistra di Milano, il renziano Beppe Sala, colto con le mani nel sacco della preventiva e obbligatoria denuncia delle proprietà per avere omesso una casa svizzera.

L’Italia sarà pure il paese di Pinocchio, per carità, ma anche gli amici del Fatto Quotidiano debbono riconoscere che i nasi allungati dei grillini si vedono più degli altri un po’ per la lunghezza e un po’ per il lucido che gli stessi grillini si sono imprudentemente dati vantando la loro assai presunta diversità. Un termine, questo, che non portò bene ad uno come il povero Enrico Berlinguer. Figuriamoci se potrà portare bene alla lunga al meno povero e più allegro comico genovese fondatore, garante e non so cos’altro del movimento a 5 stelle.

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Molti giornali, grandi e piccoli, hanno parlato della sindaca grillina di Roma ormai “commissariata” dai direttorii di vario grado del suo partito, alle cui intimazioni contro collaboratori, assessori e quant’altri la Raggi, almeno mentre scrivo, starebbe penosamente cercando di resistere.

Capisco che il linguaggio giornalistico ha le sue, a dir poco, approssimazioni. Ma parlando di un sindaco, o di una sindaca, eletto o eletta direttamente dagli elettori, che a Roma hanno votato per la Raggi in più di 700 mila, il commissariamento deciso e praticato da un partito, per quanto elastiche, generiche e ambigue possano essere le sue regole, se veramente ne ha, non mi pare proprio che sia compatibile con quello che chiamerei uno Stato di diritto, anche a costo di farmi ridere appresso da un produttore di risate come Grillo.

I commissariamenti di cui noi poveri cittadini comuni, e mortali, siamo da tempo abituati a parlare e a sentir parlare a proposito degli amministratori locali sono quelli decretati dai Prefetti. E che di solito comportano nuove elezioni.

Evidentemente con l’Italia di Pinocchio a gestione grillina dobbiamo abituarci ad altre regole o ad altre prassi. Lo dovrà fare forse anche il presidente dell’Autorità anti-corruzione, il magistrato Raffaele Cantone. Che, poveretto, si illude ancora che gli amministratori debbano essere “autonomi e servire solo i cittadini”, non i loro partiti, come ha appena dichiarato commentando proprio le vicende capitoline.  Nelle quali lo stesso Cantone è stato chiamato dal Comune a intervenire verificando il percorso, rivelatosi giuridicamente irregolare, della nomina di una sua collega di Milano a Capo di Gabinetto della sindaca. Che ha dovuto rimuoverla con un curioso inseguimento notturno fra il suo annuncio di licenziamento e le dimissioni polemiche e “irreversibili” dell’interessata, tornata nei più ospitali uffici della Corte d’Appello di Milano. Dove si spera che abbia meno occasioni di imbattersi in decisioni e valutazioni non condivise di suoi colleghi, visto che non si è risparmiata una critica alla rapidità del pronunciamento di Cantone a Roma.

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Anche questa vicenda capitolina, come altre in passato, ma di livello nazionale, sempre che possa ritenersi locale qualcosa che accade a Roma, mi ha ricordato un’uscita di Amintore Fanfani nel 1960. Era in carica il primo e unico governo di Fernando Tambroni, incorso in alcuni incidenti di piazza, a causa della partecipazione dei missini alla sua maggioranza, e in un giro di dimissioni di protesta annunciate o già presentate. Fanfani commentò la situazione dicendo, con il suo inconfondibile accento toscano e relative aspirazioni: “Chi la fa grossa la hopra”.

Ma questa, anzi queste dei grillini in Campidoglio e dintorni mi sembrano tanto grosse da non potersi umanamente coprire, tanto meno da un’assessora all’Ambiente che distinguendo, sia pure legittimamente, per carità, tra avviso di garanzia, che non ha ricevuto, e iscrizione all’elenco degli indagati, di cui aveva regolare certificazione e conoscenza, l’ha fatta politicamente e mediaticamente grossa davvero, diciamo pure enorme. Almeno in un partito giustizialista come quello di Grillo, cresciuto proprio per il suo giustizialismo. E che di giustizialismo rischia di finire perché, come diceva Pietro Nenni, c’è sempre uno più puro di te che ti epura.

Benvenuti nell'Italia dei Pinocchio a 5 stelle

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