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Teheran è il cuore pulsante dell’Iran, le sue strade e metropolitane sono come un sistema venoso in cui ogni secondo la vitalità del Paese si rinnova. La città conta, compresa l’area metropolitana, 13 milioni di abitanti. È un coacervo di contraddizioni che raccontano molto dell’antica Persia. In fondo basta prendere una delle numerose linee della metropolitana della città per fare un viaggio nell’intero paese. Donne con chador neri camminano a due passi da ragazze con i veli che cadono quasi sulle spalle lasciando fuori gran parte dei capelli. Ragazzi giovani e dall’aspetto occidentalizzato, sfiorano anziani dai volti stanchi e venditori di calzini o accendini. Ricchi e poveri, liberali e conservatori, anziani e giovani si mescolano nelle viscere del paese, dando vita a un’atmosfera molto complessa e difficile da decifrare.

È nelle case private che si comprende, però, il reale volto del Paese, perché fuori gli iraniani sono obbligati a rispettare le leggi della Repubblica islamica. Norme che nel tempo si sono fatte meno ideologiche e più formali. Non importa tanto crederci, quanto far vedere che le si rispetta. Per la legge il velo andrebbe indossato di fronte a chiunque non sia un famigliare, quindi basta entrare nelle mura domestiche per capire chi lo porta perché ci crede e chi perché obbligata. È raro infatti, in certi quartieri di Teheran, trovare una sola donna velata a una cena o a una delle tante feste che si fanno con gli amici.

Le strade sono come un grande palcoscenico in cui gli ayatollah chiedono che si rappresenti una fedeltà all’ideologia dello stato. Sotto sotto, però, lo stesso stato chiude spesso più di un occhio se questa ideologia non viene rispettata. Il governo ha capito che se vuole evitare rivoluzioni deve accettare una certa flessibilità. L’importante è che la concessione non si trasformi in diritti o rivendicazioni pubbliche.
In fondo anche l’accordo con la comunità internazionale e la riapertura dei canali diplomatici, non ufficiali, con gli Stati Uniti, sono la dimostrazione di una flessibilità della Repubblica islamica. La componente più ideologica del regime aveva portato il Paese a un vicolo cieco. Le sanzioni economiche stavano paralizzando l’economia iraniana e hanno aumentato di molto il malcontento, unendo il fronte di chi si oppone agli ayatollah perché chiede la nascita di una democrazia laica, con chi, sotto le sanzioni, protestava per la crisi economica e la mancanza di opportunità.

Khamenei ha, quindi, compreso che solamente una riapertura del Paese al mondo e la ripresa del dialogo con i nemici di sempre  avrebbe potuto disinnescare una miccia pericolosa per la stabilità della Repubblica islamica.

L’Iran non è in mano a un dittatore, ma a un sistema burocratico, al cui interno vi sono visioni piuttosto differenti. Il collante è l’adesione alla rivoluzione Khomeinista. Un sistema non dissimile a quello comunista in cui vi sono più centri di potere e in cui il vertice fa da ago della bilancia.

Se da una parte la riapertura dell’Iran al mondo sta cominciando a portare benefici economici e un rinnovato protagonismo del Paese nel Medio Oriente, è ancora molto incerto che questo porti anche a un miglioramento dei diritti umani. Sicuramente molti giovani progressisti hanno scelto di dare fiducia al nuovo presidente Rohani, sperando che pian piano porti a una riforma pacifica del sistema. Altri sono più dubbiosi e pensano che il miglioramento della situazione economica finirà per rallentare il cambiamento dello stato. Un’opposizione interna, meno conosciuta, è quella di quei religiosi sciiti che accusano la Repubblica islamica di aver centralizzato e cristallizzato l’interpretazione religiosa. Queste persone ricordano che tradizionalmente nel mondo islamico, anche sciita, non vi era un unico vertice che decideva unilateralmente come interpretare la religione, ma vi erano più centri di interpretazione. Questa visione accusa Khomeini di aver riformato il sistema, più che di averlo riportato alle sue radici.

L’Iran ha al suo interno una società civile estremamente complessa e raffinata, in cui convivono infinite sfumature. Sicuramente negli ultimi anni lo stato iraniano ha dimostrato di saper uscire dall’angolo e diventare un protagonista affidabile in molti dei conflitti mediorientali. Il Paese ha stretto un patto di ferro con la Russia di Putin e, allo stesso tempo, ha collaborato con gli Stati Uniti per combattere l’Isis in Iraq e Siria. Politica che ha infastidito non poco l’Arabia Saudita, che ha visto il suo potere regionale declinare in favore del vicino sciita, tanto che ormai i due paesi si fanno la guerra per procura in Yemen, Siria e Iraq. Anche le continue tensioni politiche in Libano sono in parte dovute alla rivalità tra l’Iran e i sauditi. Certo è che Riad ha perso molto terreno perché Teheran e Mosca sembrano essere molto più efficaci nel combattere l’Isis. L’Arabia Saudita, come d’altronde la Turchia, invece, sembrano più ambigue e ondivaghe su questo fronte.

Solo il tempo dirà se al ritorno dell’Iran sulla scena internazionale e alla sua apertura economica seguirà anche un miglioramento nella tutela dei diritti individuali, laici e religiosi.

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