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Le elezioni regionali in Calabria, per quanto limitate ad un singolo territorio, hanno da dire qualcosa anche a livello nazionale. In primis mettono in luce che un candidato non piddino presenta al momento più limiti che vantaggi, ragionamento che andrebbe avanzato anche in ottica campana, dove è in campo l’ex presidente della Camera Roberto Fico del M5S. La destrutturazione delle altre componenti dell’opposizione su scala locale sono confermate dai numeri. Panorama che non si è presentato, ad esempio, in Liguria o Emilia Romagna dove c’è stata competizione vera.

In secondo luogo la speranza di una buona fetta del campo largo era effettivamente riposta “sull’effetto-piazza”, ovvero su come la mobilitazione per una causa non locale potesse tradursi in un messaggio elettorale diretto al governo. Un auspicio che non si è tradotto in voti, dal momento che se nel caso calabrese la supremazia del governatore uscente Occhiuto e di tutta la coalizione a supporto è stata oggettiva, in altri scenari comunque presentava un piano di azione differente: parificare un moto di protesta civile ad una sensazione generale (nazionale o regionale) si è rivelato un’utopia. Annunciare come punto programmatico che la Calabria avrebbe riconosciuto la Palestina è stata un’ingenuità, dal momento che non è un tema regionale da mettere accanto a sanità, infrastrutture, burocrazia, criminalità, sicurezza e così via.

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni commenta che “anche in Calabria gli elettori hanno riposto la loro fiducia nella coalizione di centrodestra, un risultato importante a riconoscimento dell’azione di buongoverno che continueremo a portare avanti per il benessere del territorio e dei cittadini”. Anche Tridico, come Matteo Ricci, tornerà a Bruxelles, ha commentato il meloniano Nicola Procaccini, co-presidente dei conservatori al Parlamento europeo secondo cui la vittoria di Occhiuto “è il segnale chiaro che i cittadini hanno riconosciuto la visione di un governo regionale capace di coniugare concretezza e cambiamento”. Il leader di Forza Italia e vicepremier Antonio Tajani parla di “vittoria del centrodestra unito”, mentre Carlo Calenda mette l’accento su un altro aspetto: “43% di affluenza in Calabria, ci sarà un momento in cui realizzeremo che questo regionalismo è profondamente malato e che non serve a nulla proporre ricette alla Cetto La Qualunque?”.

Ammette la sconfitta l’ex deputato Stefano Pedica, presidente dell’area di Cantiere Democratico e minoranza nel centrosinistra, che offre anche uno spunto programmatico alla sua coalizione: precisa che il “catastrofico risultato in Calabria e Marche deve portare a una riflessione e consapevolezza di una strategia sbagliata per il centrosinistra, essere testardamente unitaria sta portando il Pd a diventare un’entità insignificante, e questo il partito non lo merita. Viene voglia di tornare, come fece anche la Schlein, a protestare sotto il partito per svegliare l’orgoglio sopito da tempo di una classe dirigente smarrita”.

È questo uno spunto che nelle prossime ore potrebbe trovare uno spazio di discussione, perché legato anche alla gestione politica e sociale della piazza, dove le varie anime del centrosinistra presentano sensibilità differenti. Lo dimostra, tra le altre cose, il dibattito in Parlamento di giovedì scorso quando diverse mozioni pro Gaza hanno incassato voti diversi con sfumature diverse.

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