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Delle numerose organizzazioni internazionali che operano sul piano politico, nessuna è più rappresentativa dell’Onu, a cui aderiscono 193 Paesi: il 93 per cento del mondo intero. Perciò quando il prossimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ormai freme per insediarsi, accusa quest’assemblea universale d’essere “un club di chiacchiere”, la battuta va presa sul serio. Soprattutto perché l’Onu ha subìto, semmai, la critica opposta, d’essersi cioè troppe volte adeguato al volere degli Usa.

Come sempre succede quando s’esprime un pensiero forte in modo fulminante, e con l’intento di sorprendere l’uditorio, c’è del vero nel tuono, peraltro l’ennesimo, di Trump. Troppe sono state le crisi, dal Ruanda all’ex Jugoslavia (basti una parola: Srebrenica), per non ricordare con raccapriccio l’imbelle azione delle Nazioni Unite. Troppi sono stati i fallimenti mascherati, come l’aver avallato la guerra in Iraq voluta dall’America di Bush con l’alibi di inesistenti armi di distruzione di massa. Troppo è il perdurante anacronismo che cinque Stati sui 193 abbiano loro, e soltanto loro, il diritto di veto su ogni decisione di tutti gli altri sulla base di equilibri politici del 1945, settant’anni dopo: come se il mondo si fosse fermato alle rovine della seconda guerra mondiale. Purtroppo i disastri e le carneficine sono ancora all’ordine del giorno. Ma è proprio questo ciò che rende il ruolo dell’Onu imprescindibile, per quanto chiacchierato e contestato possa essere.

E’ vero, spesso è prevalso il metro dell’ideologia, per esempio agitando il bastone contro la democrazia d’Israele (è polemica di queste ore sulla risoluzione che blocca nuove colonie nei territori) e offrendo, invece, la carotina a dittature di lungo corso, tipo il regime cubano. Rispecchiando il mondo, l’Onu ne esalta anche le plateali ingiustizie e le odiose differenze, perché buona parte del pianeta non balla al ballo della libertà. L’Assemblea generale ospita il “bla-bla” tra visioni contrapposte e a volte inconciliabili, tra eterne tensioni.

Ma l’Onu resta una palestra unica per dialogare, e non solo chiacchierare. Per diffondere valori: si pensi alle campagne un tempo solitarie contro la fame nel mondo e la pena di morte, alle cure per i bambini senza diritti e alla parità tra uomo e donna.

Certo, all’Onu si deve parlare, e soprattutto fare, meglio e di più. Ma parlare è già fare molto in questo tempo così restio ad ascoltare.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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