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Nonostante la ritirata da Sirte, il sedicente Stato Islamico – in difficoltà anche in Siria e in Iraq – mantiene direttamente il controllo di diverse province chiave: le coste libiche dai confini delle installazioni petrolifere 40 km ad ovest di Sirte fino ad Al Sidr, l’area di Tikah a sud di Bengasi, la costa compresa fra Battah e la periferia di Derna. Ma l’autoproclamatosi Califfato governa anche Sabratah e poi Ra’s Ajdir sul confine tunisino. Nell’interno, tiene numerose roccaforti; la provincia più vasta si trova nella zona di Bani Waled. A queste, si aggiungono una miriade di altre aree, ciascuna sotto il controllo di una delle tante tribù e più o meno direttamente collegate al terrorismo islamista.

I bombardamenti americani sono risultati efficaci ed hanno permesso alle truppe di terra fedeli al governo di accordo nazionale di Tripoli di riconquistare quasi interamente Sirte, dove il califfato aveva insediato i propri quartieri generali proprio nel complesso di Ouagadougou, il centro di comando realizzato da Gheddafi.

Ma sembra sempre più difficile che il governo unificato di unità nazionale riconosciuto dall’ONU possa – senza un deciso aiuto esterno – unire la nazione e dispiegare un esercito in grado di eliminare la minaccia posta da ISIS, da Ansar al-Sharia e dalle numerose tribù estremiste. Al momento, si considera sostanzialmente inevitabile un più ampio intervento militare sotto la guida dell’ONU e più o meno ufficialmente richiesto dal governo in carica.

IL MOSAICO TRIBALE

Dopo la rivoluzione libica del 2011, sono riesplosi i conflitti tribali efficacemente repressi da Gheddafi per quarant’anni. Numerose milizie si sono stabilite in un mosaico di aree limitate sostituendosi all’inesistente autorità statuale. Da cinque anni ciascuna stringe coi propri vicini effimere alleanze alternate a sanguinosi conflitti in funzione degli interessi dei capi del momento. Mentre il monitoraggio NATO della regione settentrionale – dove si concentrano i terminali petroliferi – permette di avere una chiara visione delle forze in campo sulla costa, non è altrettanto chiara la situazione strategica nelle aree lontane dal Mediterraneo e delle relazioni etniche, religiose e politiche delle tribù che le controllano.

I gruppi terroristici sono concentrati sulla costa e insidiano le città, i porti e le infrastrutture petrolifere, ma hanno ben compreso l’importanza strategica dell’interno e delle vaste riserve di energia e di acqua vitali per la sopravvivenza dell’intera regione.

Chi controlla il sud decide se a Tripoli ed a Bengasi si può accendere la luce o aprire il rubinetto, se i lavoratori possono ricevere la loro paga. Ma controlla anche le arterie del commercio, il contrabbando di armi, il traffico di droga, militanti armati, ondate di disperati pronti a rischiare la vita per raggiungere il Mediterraneo ed attraversarlo.

LA SITUAZIONE MILITARE

Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti hanno già – in aria o sul terreno – unità speciali con compiti di addestramento, monitoraggio e anche interventi limitati, ma stanno valutando sempre più seriamente un intervento su scala maggiore volto ad eliminare lo Stato Islamico e fermare le ondate di profughi. Dopo le guerre nel Golfo, nessuna nazione è pronta a veder rientrare aerei carichi di bare, ma non a tutti è chiaro che un intervento straniero provocherebbe un avversione della popolazione libica già provata dalle esperienze passate, ma anche una decisa espansione di ISIS che si propone come difensore dell’Islam e del Paese contro le orde dei colonialisti infedeli.

GEOGRAFIA E INFRASTRUTTURE

La Libia è formata da tre regioni principali: La Tripolitania a Nordovest, la Cirenaica a Est, il Fezzan nel Sudovest. Mentre gli insediamenti, gli interessi stranieri e i terminali energetici si trovano lungo la costa, la maggior parte delle riserve di acqua e di energia della Libia si trovano nel meridione, un’area di altipiani rocciosi (hamadat) e mari di sabbia fine (ramlat), punteggiati di piccole oasi ed occasionali laghetti. Le aree montuose includono il Tadrart Acacsus vicino a Ghat nel Fezzan, le montagne Bikku Mitti lungo la frontiera con il Ciad, e il Jabal Uwaynat nel sudest. La temperatura media superiore ai 30 gradi e le tormente di sabbia hanno sempre tenuto lontani gli eserciti stranieri. Inoltre, una rete di letti prosciugati di antichi fiumi drena l’acqua prodotta dalle rare piogge e viene comunemente impiegata per nascondere il movimento di truppe e convogli di contrabbandieri.

Il Grande Fiume Artificiale dell’era di Gheddafi raccoglie le immense riserve di acqua fossile intrappolate nell’acquifero di arenaria nubiana che si nasconde sotto il deserto e, attraverso una rete di acquedotti minori, alimenta le città e le aree agricole lungo il Mediterraneo.  E’ l’acquedotto più grande del mondo: si snoda per 4000 km portando 6 milioni di metri cubi di acqua al giorno da sud a nord lungo due canali paralleli che partono dal Fezzan e da Kufra. Il 70% della popolazione libica dipende da questa infrastruttura, e le tubazioni interrate in calcestruzzo possono essere facilmente interrotte in un qualsiasi punto del percorso.

Trascurando i pozzi petroliferi offshore (quelli Eni sono difesi dalle forze dell’operazione Mare Sicuro della Marina Militare) ci sono cinque grandi giacimenti di petrolio e gas: Ghadames/Berkine (nel deserto della Tripolitania), Sirte (il più grande, sulla costa), Murzuq (nel centro del Fezzan), la vasta piattaforma Cirenaïca e, infine, Kufra (nel profondo sud della Cirenaica).

Le strade impiegate per collegare gli insediamenti del sud con la costa uniscono fra loro le oasi che offrono acqua e punti di ristoro. Le reti di acquedotti, oleodotti e gasdotti che attraversano il deserto seguono gli stessi percorsi determinando l’importanza strategica delle oasi, dei villaggi e dei valichi che attraversano.

LE TRIBÙ

Gli arabi insediati nelle regioni meridionali temono l’arrivo da oltre confine di decine di migliaia di non arabi, come i Tubu e i Tuareg. D’altra parte, questi ultimi si sentono minacciati dagli arabi. I Tubu, indigeni dell’Africa centrale, provengono dal nordest del Niger, dall’estremo meridione libico ma, soprattutto, dalla catena montuosa del Tibesti nel Ciad settentrionale. I Tuareg sono un gruppo indigeno berbero disperso in numerose confederazioni e sparso in buona parte della regione del Sahel e del Sahara, dove mantengono il controllo dei collegamenti attraverso il deserto. In Libia, i Tuareg sono insediati principalmente nel sudovest e sono parte della confederazione Kel Ajjar che si estende fino all’Algeria orientale.

LE AREE STRATEGICHE NELLA REGIONE MERIDIONALE

Durante l’impero Ottomano, il periodo coloniale italiano e il regime di Gheddafi, l’inaccessibile sud della Libia costituì un rifugio sicuro per i gruppi tribali, politici e religiosi in conflitto col regime del momento. Ora offre spazio operativo ai gruppi estremisti cacciati dalle aree confinanti come il Mali settentrionale. In previsione di un intervento militare per eliminare il califfato dalle regioni costiere, i nodi nevralgici del sud libico prima descritti possono costituire sia un rifugio per i terroristi sia un punto da cui costruire nuove basi in grado di controllare indirettamente l’infrastruttura energetica e la vita stessa delle città costiere.

Inoltre, il sud della Libia include circa 1000 km di permeabile frontiera con l’Algeria ed altrettanti con il Ciad, oltre a circa 400 km sia con il Sudan che con il Niger. La maggior parte delle tribù libiche non ha tratto alcun vantaggio dallo sfruttamento dei giacimenti nelle aree meridionali, ma basa il proprio “prodotto interno lordo” sul contrabbando di uomini, armi e droghe. Da qui gli Jiihadisti possono collegarsi agli altri gruppi terroristi nell’intero bacino del Sahel.

In conclusione, un intervento militare sulla costa può facilmente scatenare le tribù del sud libico. Ma questo può portare alla destabilizzazione dell’intera regione attraverso l’infiltrazione incontrollata di terroristi in una zona caratterizzata dalla pericolosa combinazione di una rete di istallazioni economiche vitali e dalla totale assenza di controllo centrale. Un intervento straniero in una area storicamente ostile tanto ai regimi stranieri quanto al governo centrale, può coalizzare questo mosaico di tribù reciprocamente ostili e saldarle con l’estremismo Jihadista portando il conflitto in una enorme regione dal quale difficilmente potrà essere stanato.

Finché un governo di unità nazionale non potrà insediarsi ed essere riconosciuto dalla maggior parte della popolazione e non potrà dispiegare unità militari riconosciute al posto delle milizie locali, l’infrastruttura dell’acqua e dell’energia dell’intera regione rappresenterà un facile bersaglio – ed al contempo un punto di aggregazione – per i terroristi, i ribelli e le organizzazioni criminali di tutta l’Africa centrale.

Ecco a cosa mirano terroristi e ribelli in Libia

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