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L’account su X di EuNavFor Aspides, operazione con con cui l’Ue lavora a protezione della rotta indo-mediterranea del Mar Rosso, ci ricorda che le attività contro gli Houthi – che quella rotta l’hanno disarticolata a suon di missili e droni Made in Iran – non si sono fermate. E ci ricorda anche che l’Italia è in prima linea in quelle operazioni, mostrando delle belle foto del Caio Duilio impegnato in missioni di scorta a navi mercantili di società nazionali, e altre immagini in cui il Force Commander, l’ammiraglio Stefano Costantino (che dal cacciatorpediniere italiano dirige tutti gli assetti in acqua), conduce anche attività di military diplomacy.

Gli Houthi non hanno smesso di attaccare le navi che intendono usare Suez per i collegamenti commerciali tra Europa e Asia. Ma riescono a modulare l’intensità degli attacchi in funzione della possibilità di ottenere centralità nell’interesse internazionale. In questo momento, il gruppo yemenita sta probabilmente scegliendo una fase di profilo più basso, anche perché sei giorni fa sono stati lanciati cinque missili balistici contro il cargo Huang Pu, che è di proprietà cinese. Il CentCom, che tiene il diario di bordo delle attività, evidenzia che “gli Houthi hanno attaccato lo Huang Pu nonostante avessero precedentemente affermato che non avrebbero attaccato le navi cinesi”.

Il riferimento è a un accordo che russi e cinesi dovrebbero aver stretto con i miliziani yemeniti per mettere al sicuro le proprie navi, in barba al concetto di sicurezza collettiva che europei e americani (con la partecipazione indiretta di alcuni Paesi della regione del Golfo) stanno cercando di ricostruire con difficoltà. Evidentemente il modello di governance pragmatico che Pechino e Mosca propongono si scontra contro l’altrettanto pragmatismo del gruppo armato che già controlla di fatto metà dello Yemen e che si muove a livello narrativo per rappresaglia contro le azioni israeliane nella Striscia di Gaza, ma a livello pratico per mostrare i muscoli al tavolo negoziale sul futuro del loro Paese. Oppure si scontro con la loro scarsa capacità di targeting – su cui in precedenza potrebbero essere stati aiutati dall’Iran, il quale è formalmente più che partner di Cina e Russia. La stessa Russia che nei giorni scorsi ha fatto arrivare due assetti navali nell’area, con approdo a Massawa, in Eritrea, porto con cui ha stretto cooperazioni dopo che un accordo per Port Sudan è svanito negli anni scorsi.

Così è saltato l’ordine globale

Pensare sia un caos è giusto, ma è l’effetto di quando salta l’ordine basato sulle regole che ha protetto la prosperità globale – anche attraverso la sicurezza geoeconomica – negli ultimi settanta anni. Considerazioni geo-strategiche, di sicurezza, ed economiche sottolineano la necessità di sviluppare una strategia italiana multidimensionale e di lungo periodo sul Mar Rosso. Fondazione Med-Or ha fornito una visione d’insieme attraverso l’analisi firmata da Umberto Tavolato, direttore delle relazioni internazionali, che tra il settembre 2023 e marzo 2024 ha viaggiato in Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ossia nella regione direttamente coinvolta nella crisi del Mar Rosso, incontrando esponenti governativi, rappresentanti regionali delle principali multinazionali assicurative e marittime, ed esperti regionali.

Nel report, presentato in un incontro che la Fondazione diretta da Marco Minniti ha ospitato mercoledì 27 marzo (con la partecipazione del rappresentante speciale dell’Ue per la regione del Golfo, Luigi Di Maio, di Alex De Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation presso la Fletcher School of Law and Diplomacy, e Farea Al-Muslimi di Chatham House), Tavolato individua alcune tendenze principali come concause che hanno creato il contesto attuale nella sub-regione del Mar Rosso. Innanzitutto, la crisi della diplomazia multilaterale, e poi: il ricorso alle armi come strumento principale per la ricerca o la negoziazione del potere, la diffusione di droni in Paesi frammentato o instabili, una crescente tendenza al cosiddetto “minilateralismo”, economie in contrazione o in default e carestie di massa, spinta alla diversificazione economica da parte dei membri del Consiglio della Cooperazione del Golfo.

Abbinate a queste, vengono identificati alcuni rischi principali che potrebbero ulteriormente destabilizzare quello che sembra essere sempre più un teatro di combattimento. A cominciare dalla possibile operazione terrestre israeliana su Rafah, la città che sta dando rifugio a un milione di sfollati dalle zone settentrionali della Striscia e che è un potenziale centro gravitazionale della più grande crisi umanitaria in corso, appena oltre il confine egiziano – Paese strategico per il Mediterraneo allargato, sull’orlo di un disastro economico. Poi pesano chiaramente le intenzioni degli Houthi, che stanno capitalizzando dalle azioni ideate attorno alla guerra israeliana in termini di reclutamento e fascinazione, e sono interessati a far fruttare gli investimenti sul piano del futuro dello Yemen – squarciato da un decennio di guerra civile che li vede protagonisti e che da un anno e mezzo è in un delicato fermo delle armi. Da aggiungere a questi già delicati fattori, gli equilibri in Sud Sudan, Eritrea, Etiopia e Somalia.

La chiave per l’Italia

Alla luce di tutto ciò, Tavolato fornisce alcune indicazioni “chiave” per l’interesse italiano. Innanzitutto, da una prospettiva geo-strategica, evidenzia come la deviazione delle rotte commerciali dal canale di Suez ed il Mediterraneo al Capo di Buona Speranza e l’Atlantico espone la fragilità del Mediterraneo: “Il rischio è che il Mediterraneo diventi sempre più un ‘mare periferico’, soprattutto se paragonato all’Indo-Pacifico e l’Atlantico”. Un rischio evidenziato anche dell’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, Sottocapo di Stato maggiore della Marina Militare, che ricordava come le deviazioni da Suez stanno erodendo la centralità del Mediterraneo, con le navi che non rientrano da Gibilterra dopo la circumnavigazione africana, ma sfruttano i porti nord-europei come scali.

Dall’ottica securitaria, secondo Tavolato un cessate il fuoco a Gaza accompagnato dalla prospettiva della creazione di uno stato palestinese, porterebbe anche alla fine degli attacchi Houthi, riaprendo le rotte commerciali marittime nel Mar Rosso nel giro di quattro o sei settimane, secondo calcoli della Maersk, la principale società mercantile al mondo. “Tuttavia, il Mar Rosso e il Golfo di Aden sono aree ad alto tasso di gruppi armati. Di conseguenza, gli attacchi al commercio marittimo potrebbero ispirare ribellioni di diversa matrice, in particolare gruppi jihadisti, ad emulare gli Houthi in paesi altamente instabili”. Emulazione evocata anche nel recente discorso del capo della predicazione dello Stato islamico, che ha plaudito alle filiali baghdadiste che hanno colpito “le rotte commerciali”.

Dal punto di vista economico, infine, il Mar Rosso non solo collega le economie del Mediterraneo all’Indo Pacifico, ma rappresenta anche l’anello di congiunzione del Global South che connette l’energia e le finanze dei paesi del Golfo con le materie prime dell’Africa, ed il mercato di merci e servizi dell’Asia. “La vera svolta per questa regione – spiega l’esperto di Med-Or – potrebbe arrivare però dall’Arabia Saudita e i giga-progetti di investimenti della Vision 2030 in corso nella sua costa occidentale dai quali dipendono il rinnovamento economico, sociale e culturale del nuovo regno. La salvaguardia e sostenibilità di questi investimenti, la cui gran parte puntano nello sviluppo del settore turistico del Mar Rosso, dipenderanno anche dalla capacità dell’Arabia Saudita di proiettare benessere e stabilità sull’altra sponda del Mar Rosso, a cominciare dai paesi litorali del Corno d’Africa, dove l’Italia può contribuire con un ruolo più attivo”.

La crisi nel Mar Rosso è multidimensionale e regionale. L'analisi di Med-Or

Un report firmato da Umberto Tavolato, direttore delle relazioni internazionale di Fondazione Med-Or, crea un quadro d’insieme per la crisi del Mar Rosso e fornisce elementi chiave per gli interessi dell’Italia

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