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Tempo di anniversari per Donald Trump: dopo avere compiuto 70 anni, ha pure compiuto un anno di candidatura alla Casa Bianca: scese in campo il 16 giugno 2015. L’annuncio dalla Trump Tower di New York suscitò un interesse divertito, ma scettico. E, invece, nel giro di 12 mesi, tra gaffes e sortite apparentemente fuori misura, sui musulmani, gli ispanici, le donne, il partito, il magnate dell’immobiliare è diventati il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

“L’ideologia di Trump s’è dimostrata flessibile, ma non il suo modo di vedere il mondo – scrisse all’epoca il New York Times – : crede fermamente nella sua capacità d’ottenere il miglior risultato possibile con i suoi modi prepotenti”. E, fin qui, c’è riuscito.

La giornata di ieri è stata proprio contrassegnata, oltre che dall’ennesima gaffe – ha detto: “Il Belgio è una bellissima città” e non s’è nemmeno accorto del lapsus – , dalle polemiche con l’establishment del partito dopo la strage di Orlando, mentre il presidente Obama incontrava, in Florida, feriti e familiari delle vittime ed esprimeva loro solidarietà, ma anche volontà di combattere il terrorismo.

Trump, invece, lanciava una sorta di ultimatum alla leadership repubblicana, invitando i dirigenti del partito, critici nei confronti dei suoi commenti sulla carneficina nella discoteca frequentata da omosessuali, a essere più forti o a starsene zitti, altrimenti dovrà guidare i repubblicani “da solo”: “State buoni, non parlate, per favore calma”.

Alcuni leader repubblicani, del resto, non hanno alcuna intenzione di ritrovarsi al suo fianco, come Mitt Romney e la famiglia Bush, altri sono riluttanti come Paul Ryan e John McCain. John Kasich, governatore dell’Ohio e suo rivale nelle primarie, non lo sosterrà nella sfida per la presidenza contro Hillary Clinton: “Proprio non ci riesco – ha detto in un’intervista – . Aspetto di vedere se ci sarà una “conversione sulla strada di Damasco”, ossia un cambiamento significativo. Finora, non l’ho visto. Se non ci sarà, mi chiamo fuori”.

Se Kasich non sta con Trump, ma non intende neppure votare per Hillary, Richard Armitage, uno dei “grandi vecchi” del partito repubblicano, scarica il magnate e sostiene l’ex first lady. Armitage, che ha lavorato al Pentagono e al Dipartimento di Stato sia con Reagan che con i due presidenti Bush, è il repubblicano di più alto rango finora passato dalla parte della Clinton.

Ex ufficiale di Marina, Armitage fu numero due di Colin Powell al Dipartimento di Stato, all’inizio del XXI Secolo: “Trump non è un repubblicano, né sembra voler imparare le cose di cui dovrebbe occuparsi alla Casa Bianca. Per questo voterò Hillary”, ha detto a Politico. Molti esperti di esteri e difesa repubblicani hanno espresso il loro disagio a schierarsi con Trump, ma pochi finora hanno espressamente annunciato un voto per la Clinton: tra questi Max Boot, storico neocon; Mark Salter, ex capo di gabinetto del senatore John McCain: e l’ex colonnello Peter Mansour, ex braccio destro del generale David Petraeus.

Invece, Hillary Clinton ha appena ricevuto un endorsement “spettacolare”: quello di Oprah Winfrey, regina dei talk show, che dice, ricalcandone lo slogan, “I am with Her” (sono con lei). Intervistata dalla Abc, Oprah, amica degli Obama e sostenitrice della campagna di Barack nel 2008, ha detto che è arrivato il momento che gli Stati Uniti eleggano un presidente donna. “A prescindere dall’orientamento politico, non puoi essere una donna e non vedere che è il momento per infrangere le barriere”.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

Trump perde pezzi, Oprah sta con Hillary

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