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Contrordine: forse non è proprio detto che Trump abbia già perso. La “October surprise”, materializzatasi sotto forma di riapertura dell’inchiesta di Fbi sullo scandalo-mail della Clinton, ha invertito una tendenza che sembrava irreversibilmente negativa per il tycoon.

L’esito più probabile resta comunque una vittoria della Clinton, ma di misura. E soprattutto senza che i democratici possano controllare il Congresso (quasi certamente a maggioranza repubblicana) e, forse, nemmeno il Senato.

Si può comunque già stilare l’elenco degli sconfitti.

I media mainstream in America, che hanno perduto gran parte della loro residua credibilità. Prima, nel corso delle primarie repubblicane, hanno fatto eco a ogni volgarità di Trump, facendosi catturare dalla logica dell’insulto quotidiano acchiappa-audience. Poi, finite le primarie e arrivati alla campagna per le elezioni generali, hanno iniziato a demonizzare il tycoon.

Peggio ancora, hanno applicato un clamoroso doppio standard. Da una parte, criminalizzazione per le volgarità di Trump (che è semplicemente colpevole di essere Trump, cioè greve, egomaniaco, ingestibile: e cosa pensavano, che la sera leggesse Eschilo e Sofocle?); dall’altra parte, invece, sottovalutazione, silenzio e attenuazione per gli scheletri nell’armadio di Hillary, dal mailgate all’ancora più grave tema dei suoi finanziamenti esteri.

Non hanno capito l’America profonda, i ceti medi e medio-bassi impauriti e impoveriti, che erano stati per anni esclusi dall’agenda politica ufficiale. Trump è stato lo strumento della loro vendetta: e i media mainstream hanno reagito trattandoli come una feccia di selvaggi sdentati.

Il Partito repubblicano è certamente il perdente principale, comunque finisca. Sono possibili due scuole di pensiero. La prima: quella di chi ritiene che, una volta sancita la vittoria di Trump alle primarie, l’establishment del partito avrebbe dovuto supportarlo davvero, e non prendere le distanze da lui un giorno sì e l’altro pure. La seconda: quella di chi ritiene che lo stesso establishment avrebbe dovuto impegnarsi prima per batterlo, contrapponendogli non quindici o sedici figure, ma una soltanto, forte e credibile, che poi avrebbe – forse – avuto buon gioco a sconfiggere Hillary, candidata sgradita a una platea enorme di elettori americani.

Una specialissima menzione di demerito (stavo per scrivere: di inqualificabile livello professionale e civile) va alla gran parte degli analisti italiani di cose americane, con poche eccezioni (da contare su poche dita di una sola mano di un grande mutilato!). Direttori, ex direttori, inviati: resta indimenticabile come non si siano affatto sforzati di capire e spiegare cosa stava accadendo, ma abbiano quasi solo fatto tifo in curva (per Hillary), sperando forse che qualcuno sia loro grato nei prossimi quattro anni.

Ho scritto nelle settimane scorse che Trump e Clinton mi sembrano la peggior coppia di candidati dell’intera storia delle elezioni americane. Lo confermo. Resta però un punto, che qui abbiamo analizzato anche attraverso un’infinità di libri (per citarne uno solo, Charles Murray e il suo “Coming apart”): gli Usa sono divisi, lo spettacolare laboratorio americano è in crisi sia dal punto di vista sociale che da quello politico-istituzionale. La frattura tra establishment e ceti medi e medio-bassi è diventata una voragine. Prendiamo nota, perché anche in Europa il processo che si è innescato è simile. E dalle conseguenze imprevedibili.

Chi perderà di sicuro le elezioni presidenziali Usa 2016

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