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Sugli stress test e sul salvataggio del Monte dei Paschi si è aperto un dibattito di riguardo. Le grandi assenti sono le Popolari: certa stampa, sistematicamente, non ne riferisce la voce; a parte questa testata, ne ha scritto – che risulti – solo Repubblica e Libero. Vediamo, allora, di fare noi il punto.

1) Le Popolari sono, dicevamo, le grandi assenti, nel dibattito citato. E proprio nel momento in cui gli osservatori indipendenti rilevano questo: che un decimo degli sforzi fatti per Mps, avrebbe evitato la vicenda delle quattro banche (tre Casse ed ex Casse e una Popolare). L’idea che ci si è fatti è che il bonapartismo economico (specie internazionale) non vede di buon occhio le banche medio-piccole (assicurano la concorrenza) e, fra queste, in particolare quelle che – fin dalla nascita dello Stato unitario – sono in sé indipendenti dal potere politico (quelle in cui nessun amministratore – com’è nelle Popolari – viene, ed è mai stato, nominato dalla politica; quelle, ancora, non controllate, o partecipate, da organismi – come le Fondazioni, spesso – in cui le nomine politiche sono ampie e, quasi sempre, determinanti). Quelle banche, perciò, non possono essere ben viste dalla politica intrallazzatrice.

2) Negli stress test, la vera sorpresa positiva è stata quella del Banco Popolare (e cioè di una Popolare, che pure dovrà – per dettato della politica, come fece a suo tempo per alcune di esse il fascismo – convertirsi in Spa). Senza considerare altri dati, fra le cinque sottoposte all’esame «scenario avverso» è quella che ha l’indice di patrimonialità/solidità più alto, e per essa i test dell’Eba – di per sé astrusi, e fondati su scenari ipotizzati e quindi non oggettivi né certi – non hanno neppure tenuto presente l’aumento di capitale di recente positivamente portato a termine dal Banco. Segno evidente che il modello popolare non può, di per sé, essere posto in discussione (e che funziona, se lasciato funzionare).

3) Quanto a Mps, il salvataggio (per il quale resta comunque sempre l’alea della speculazione, come Libero ha sottolineato) viene operato con il determinante intervento di sette banche estere (che entreranno, così, nel mercato domestico, ancora una volta a gamba tesa), coordinate da una sola banca italiana. Per le quattro famose banche, l’Europa ha invece imposto (sia pure solo con telefonate e mail, comunque non impugnate avanti la Corte di giustizia europea) che le banche private italiane non provvedessero (come si erano offerte di fare) al loro salvataggio, anche se poi – tutte indistintamente – sono state chiamate a finanziare il risanamento e il rimborso a risparmiatori, a disastro avvenuto e a discredito (e sfiducia sull’intero sistema) ad ampie mani disseminato.

4) Il problema generale dei crediti deteriorati rimane. Ma le banche medio-piccole (Casse o Popolari che siano) ne hanno meno delle altre, per la conoscenza del territorio che le caratterizza. E per loro, come per quelle di diverse categorie giuridiche, le sofferenze sono anzitutto il frutto della politica (che, provocando la caduta dei valori immobiliari a mezzo di una perversa tassazione, ha devastato le garanzie bancarie, con le relative conseguenze). Come, pure, frutto della politica italiana è – lo ha ammesso lo stesso premier nell’intervento già citato – il fatto che «la nostra economia reale è quella che tra il 2009 e il 2014 in Europa ha perso più di tutte». E al premier va fatto notare che se alcune Popolari, certo, sono state mal amministrate, quello che in esse è avvenuto è comunque sempre niente rispetto a quanto avvenuto rispetto a quanto si è verificato in Mps. A riprova, ancora una volta, che c’entrano le persone che reggono un istituto, non la categoria giuridica di appartenenza (Popolare o no). E a riprova, altresì, che le banche non hanno bisogno di provvedimenti coattivi del governo e neppure di incessanti normative che, oltre che aumentarne a dismisura i costi, fanno sì che i regolatori, in sostanza, non siano solo dei vigilanti, ma coloro che in realtà guidano le banche, senza peraltro averne la responsabilità (problema che, come altri, non affascina, invece e come dovrebbe, l’Europa). Prova entrambe le cose (costi e guida esterna, di fatto) la circostanza che non si sono mai avuti casi ricorrenti di rovesci di banche come da quando si è passati dal tradizionale concetto di «sana e prudente gestione» a uno così invasivo che, sulla sua base, si impongono persino le quote rosa (peraltro da sempre applicate, nelle Popolari, in presenza di idonee possibilità; non comunque).

5) Come ha spiegato Carlo Lottieri su il Giornale, il problema principale è quello del rapporto tasse, spesa pubblica, aziende. Il problema non è quello che caratterizza l’impostazione di Confindustria (compiacere – persino in sede di referendum istituzionale, che con l’industria non ha nulla a che fare – il governo, cercando di scroccare qualche beneficio fiscale e tirare la coperta dalla propria parte). Il problema è generale, tocca tutti ed è uguale per tutti: è quello di uscir fuori dalla spirale perversa per cui lo Stato moderno, come formatosi nel 500, ha sempre più bisogno di risorse aggiuntive e col prelievo fiscale (che ha raggiunto la impensabile percentuale del 64% della ricchezza nazionale prodotta) tarpa le ali di ogni azienda, bancaria o no. La tradizione socialista della redistribuzione (per non dire di quella, italica, della coperta) è una tradizione paleolitica, bisogna anzitutto consentire al sistema di mercato di poter funzionare (e quindi di produrre). Se non si abbassano le tasse (per le banche, a doppia ragione: quella d’ambiente e quella immobiliare) non c’è futuro.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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