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Nel corso della storia del pensiero psicoanalitico, al concetto di narcisismo sono stati attribuiti significati diversi e talora contraddittori, che hanno però sempre mantenuto il riferimento a un soggetto che sopravvaluta se stesso e concentra il suo interesse solo su se stesso. Come hanno osservato Vincenzo Cesareo e Italo Vaccarini (“L’era del narcisismo”, Franco Angeli, 2012), il narcisismo non può tuttavia essere considerato un vizio, ossia una condotta contraria a norme etiche. Il narcisista coincide solo in parte con l’egoista divorato dal demone dell’ambizione, con il megalomane affetto da “libido dominandi”. Non corrisponde né ai superuomini rinascimentali delle tragedie di William Shakespeare; né a zio Paperone, l’arpagone americano smanioso di accumulare ricchezze in preda alla “libido possidendi”; né a don Giovanni, perennemente in cerca di conquiste femminili per celebrare i misteri dell’eros. È vero che l’assillo per l’apparenza accomuna il narcisista al vanitoso. Ma si tratta di una somiglianza superficiale. Il vanitoso, infatti, è una persona che sopravvaluta le proprie qualità personali, come la bellezza e l’intelligenza; in sostanza, è un millantatore. Il suo archetipo letterario e drammaturgico è Pirgopolinice, il “miles gloriosus”, il soldato spaccone di Plauto.

Il mondo vitale del narcisista è invece contrassegnato da una visione semplificata della realtà. È un mondo agitato dall’ossessione per il nuovismo, ossia per esperienze sempre nuove ma superficiali. È un mondo privo di dilemmi radicali, organizzato in comportamenti stimolati da impulsi e bisogni immediati, che tendono ad aggirare l’ambivalenza costitutiva delle scelte morali. Negli anni Settanta pensatori come Heinz Kohut e Christopher Lasch avevano denunciato il ripiegamento esistenziale dell’Occidente e i processi di “privatizzazione” della vita umana. Negli anni Ottanta il narcisismo raggiunge un ulteriore stadio di sviluppo, estendendosi alla “sovrastruttura intellettuale”, come testimoniano esemplarmente “Radici dell’io” di Charles Taylor (1979) e “La chiusura della mente americana” di Allan Bloom (1987). Negli anni Novanta la personalità narcisistica si consolida. Come documenta “La trasformazione dell’intimità” (1992) di Anthony Giddens, la famiglia nucleare -architrave della modernità- collassa. Per altro verso, “La fatica di essere se stessi” (1998) di Alain Ehrenberg racconta la crescente diffusione di un nuovo tipo di psicopatologia, la depressione. Con il passaggio di secolo, infine, l’espansione del narcisismo sembra trovare un terreno fertile nella nuova centralità assunta dalla sfera sessuale e dalla sfera politica.

Paradossalmente, è il motivo per cui nel 2011 gli psichiatri statunitensi hanno tentato di eliminare il narcisismo dall’elenco dei disturbi della personalità indicati nel “Manuale Statistico Diagnostico dei disordini psichici” (DSM): era cioè divenuto così epidemico da non poter più essere considerato un problema mentale. Una decisione che ha suscitato la vibrata protesta di Otto Kernberg, presidente della Società Psicoanalitica Internazionale (SPI), secondo il quale essa avrebbe reso impossibile diagnosticare quelle specifiche alterazioni comportamentali che minano i rapporti sociali e familiari. Ma, dietro le contrapposizioni accademiche sulle pratiche cliniche ritenute più efficaci,si celavano meno nobili contrapposizioni di interessi tra le industrie farmaceutiche, che insistevano perché il narcisismo venisse riconosciuto come un disturbo della personalità da curare con i medicinali, e le compagnie di assicurazione, che premevano perché venisse depennato dal DSM.

Per riassumere il nostro discorso: nel narcisista il “sé grandioso” si manifesta in un vissuto di onnipotenza contrassegnato dal culto dell’apparire e dalla mania del successo, da una auto-esaltazione e auto-dilatazione dell’Io. Ciò vale ovviamente anche per il leader politico, oggi tra le star più in vista nella società dello spettacolo. Secondo Kernberg, i leader narcisisti mostrano spiccate tendenze esibizionistiche, e hanno un forte bisogno di essere amati e ammirati. Pur altamente efficaci sul piano della comunicazione, sono refrattari alle critiche e mirano a esercitare un potere assoluto sui subordinati. In altre parole, sono “leader-robot”. Quando l’Europa si stava avviando verso il baratro del nazifascismo, Sigmund Freud aveva puntato il dito sull’istinto gregario delle masse, “reminiscenza dell’orda primordiale”.Istinto gregario in cui vedeva confermata l’inclinazione dell’essere umano a ricercare rifugio, protezione e riparo dalla solitudine della libertà e dalla responsabilità individuale che essa comporta (“Psicologia delle masse e analisi dell’Io”,1921).

Oggi che l’Europa si sta avviando verso il baratro di un populismo razzista e xenofobo, le sue classi dirigenti dovrebbero riscoprire l’attualissimo valore di questo ammonimento del padre della psicoanalisi.

Massimo D'Alema

Vi racconto il narcisismo all'epoca del referendum costituzionale

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