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Prima la polemica, urgente e dovuta, con lo sfacciato presidente turco Erdogan per difendere “lo Stato di diritto” italiano dalla pretesa dell’immunità per un figlio sottoposto a indagini a Bologna per riciclaggio, e poi la trasferta olimpionica in Brasile hanno fornito a Matteo Renzi l’occasione per lasciare senza risposta un duro attacco sferratogli sul sempre meno amichevole Corriere della Sera da Mario Monti. Che è letteralmente insorto contro l’accusa rivoltagli dal presidente del Consiglio di non avere sufficientemente protetto, quando era a Palazzo Chigi con il suo governo tecnico, le banche italiane e di avere disseminato di “trappole” la strada dei successori con le cosiddette misure di salvaguardia. Cioè con aumenti dell’Iva e d’altro ancora programmati con sistema automatico e comportanti un “salasso” i 15 miliardi per i contribuenti italiani. Un salasso scongiurato, secondo Renzi, solo dalla propria abilità.

Il silenzio opposto dal presidente del Consiglio a Monti, pur considerando il tempo sottrattogli da Erdogan e dalla partenza per Rio, non è stato francamente una dimostrazione di forza, tanto più perché la rinuncia alla replica non rientra nelle sue abitudini. Di solito, poi, anche quando non si hanno solidi argomenti, in politica si riesce ad arrampicarsi anche sugli specchi per non dare l’impressione di essere stati colti in castagna.

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Sul salvataggio pubblico delle banche, impedito o ostacolato dalle regole europee del cosiddetto ball-in ereditate da Renzi, l’ex presidente bocconiano del Consiglio, ora felicemente senatore a vita, a prova anche di conferma referendaria del ridimensionamento del Senato, si è limitato a ricordare che egli non era più a Palazzo Chigi quando la nuova normativa comunitaria è stata approvata. Al suo posto, nell’autunno del 2013, c’era già Enrico Letta. E nei tre anni trascorsi per l’entrata in vigore delle nuove norme nessuno può certamente prendersela con lui se sono mancate iniziative per rinviarne l’applicazione o cambiare qualcosa.

Sulle “trappole” delle misure di salvaguardia Monti ha fatto presente a Renzi di avere sbagliato i conti perché i miliardi di euro risparmiati ai contribuenti non sono stati 15 ma 16,8. Ma soprattutto gli ha rinfrescato la memoria ricordandogli che 3,3 miliardi erano stai programmati con la legge di stabilità del 2014 dal governo di Enrico Letta e 13,5 con la legge di stabilità del 2015 dal governo successivo: quello cioè di Renzi.

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Anche se numeri e date potevano bastare e avanzare per mettere il suo accusatore nell’angolo, Monti ha voluto passare sale sulla ferita con lezioni, diciamo così, di comportamento.

“Chiunque abbia responsabilità di governo, a maggior ragione di capo del governo, finisce per fare il proprio danno, oltre che quello del Paese, se di fronte alle difficoltà ricorre – ha scritto l’ex presidente del Consiglio – a rappresentazioni distorte della realtà, presente o passata, e cerca di addossare ad altri fattori (i predecessori, l’Europa ed altro) la responsabilità di risultati meno buoni di quanto sperato”. E ciò ancor più quando “il governante –ha aggiunto Monti riferendosi sempre a Renzi- ha talento nella comunicazione e attitudine ad esercitare pressione sui media, perché in questo caso corre ancora di più il rischio che i cittadini si disamorino di lui”, vedendo “scarsa obiettività e una certa tendenza a non assumersi pienamente le proprie responsabilità”.

Per un giovane arrivato alla guida del maggiore partito italiano e del governo con la volontà dichiarata di rottamare il passato non deve essere stato bello neppure sentirsi paragonare, come ha fatto Monti, ad un ministro economico degli anni Ottanta che si guadagnò una volta, in un dibattito d’alto livello, questa impietosa interruzione dell’ex governatore della Banca d’Italia Guido Carli: “Signor ministro, non tutti gli italiani sono cretini”. Come evidentemente Monti ritiene che Renzi consideri gli elettori.  Il che, in vista del referendum sulla riforma costituzionale, non è proprio il massimo che l’ex presidente del Consiglio potesse scrivere dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, avventuratosi sul percorso referendario ad una velocità che sta cercando adesso di ridurre.

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In tema di polemiche ne segnalo due di segno opposto. Una è quella del direttore del Giornale Alessandro Sallusti, pure lui contro Renzi in partenza per il Brasile. Che di fronte alla perdurante speculazione internazionale contro le banche italiane, anche quelle considerate fra le più solide d’Europa, è stato redarguito come il comandante della nave Costa Concordianaufragata nel 2012 all’isola del Giglio, Francesco Schettino. Al quale un ufficiale della Capitaneria di Porto di Livorno gridò, in diretta televisiva, o quasi: “Torni a bordo, c…..”.

L’altra polemica è quella di Marco Travaglio, una volta tanto in difesa di un’assessora in carica e delle sue remuneratissime consulenze prestate in passato ad un’azienda comunale della quale ora deve occuparsi come amministratrice pubblica. Una difesa appassionata per la donna e sprezzante per i critici o avversari. Si tratta naturalmente dell’assessora all’Ambiente di Roma, in questo caso soprattutto alla monnezza, Paola Muraro. Che solo per caso, per carità, fa parte di una giunta a guida grillina.

Tutte le polemichette agostane di Monti, Renzi, Sallusti e Travaglio

Prima la polemica, urgente e dovuta, con lo sfacciato presidente turco Erdogan per difendere “lo Stato di diritto” italiano dalla pretesa dell’immunità per un figlio sottoposto a indagini a Bologna per riciclaggio, e poi la trasferta olimpionica in Brasile hanno fornito a Matteo Renzi l’occasione per lasciare senza risposta un duro attacco sferratogli sul sempre meno amichevole Corriere della Sera…

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