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Il futuro politico ed economico dell’Italia passa sempre di più dal mezzogiorno e da Napoli in particolare, che del sud rappresenta simbolicamente potenzialità, difficoltà e contraddizioni. Ne è convinto il segretario generale della Uilm Campania Giovanni Sgambati, un sindacalista atipico verrebbe da definirlo per i suoi giudizi controcorrente, come nel caso di Matteo Renzi e della sua riforma della Costituzione: “Sono favorevole, soprattutto per tre ordini di ragioni: la fine del bicameralismo paritario, il taglio del numero dei parlamentari e il ridimensionamento del potere interdettivo delle regioni“.

Questa valutazione positiva potrebbe però non essere condivisa dalla città. Il capoluogo campano in questi giorni si prepara infatti al ballottaggio del 19 giugno dopo aver archiviato il primo turno delle amministrative in cui ha prevalso con il 42% dei voti il sindaco uscente Luigi De Magistris, a fronte del 24% ottenuto dal secondo classificato Gianni Lettieri. Si è fermata al 21%, invece, la candidata democratica Valeria Valente mentre il partito del premier è sprofondato addirittura all’11%. Il principale dato politico che arriva dalla “capitale del Sud”, insomma, è la crisi del Pd napoletano, come ha riconosciuto anche Renzi, adesso pronto a commissariarlo. In molti – tra cui Sgambati – temono che De Magistris influenzi negativamente gli elettori in vista del referendum costituzionale d’ottobre: “Il rischio di traino è evidente e potrebbe portare ahimè la città ad esprimersi contrariamente alla riforma. E’ certo che De Magistris farà campagna attiva contro la nuova Costituzione, l’ha annunciato lui stesso“.

Uno scenario che, secondo Sgambati, potrebbe concretizzarsi per una pluralità di ragioni. Innanzitutto a causa della crisi del Pd napoletano, fotografata dal crollo degli ultimi due anni: “In città l’emorragia di voti del Pd è stata progressiva e inarrestabile“. Basta pensare che alle europee del 2014 ottenne il 40% dei voti, a testimonianza del credito iniziale su cui ha potuto far leva Renzi. Poi il primo calo alle regionali dello scorso anno, che hanno visto imporsi il candidato democratico Vincenzo De Luca: l’ex sindaco di Salerno è stato votato dal 36% dei napoletani ma il Pd si è fermato al 21%. Infine, il crollo verticale del 5 giugno scorso.

Altro indizio sul possibile orientamento di Napoli contro la nuova Costituzione targata Maria Elena Boschi è la composizione dell’elettorato di De Magistris: “Quello in suo favore è un voto che mette insieme due aspetti: l’antirenzismo militante e la logica del meno peggio, l’idea di una parte dei cittadini che De Magistris non abbia fatto granché ma che in fin dei conti sia una persona onesta. Che spesso e volentieri si tratti di un voto contro, è innegabile“.

La fotografia che Sgambati fa di Napoli è quasi paradossale: “Il presidente del Consiglio ha capito benissimo l’importanza politica ed economica del capoluogo campano e si è speso fortemente in prima persona, con l’intervento su Bagnoli ma anche con l’accordo che porterà la Apple ad aprire proprio a Napoli una sua sede“. Eppure, il suo partito è ai minimi storici mentre De Magistris naviga a vele spiegate verso la riconferma: “L’esito del ballottaggio è scontato, così come lo era anche quello del primo turno“.

Il sindaco uscente continua a fare il pieno di voti e Sgambati quasi non se ne capacita: “Il giudizio sui suoi primi cinque anni come primo cittadino è lontanissmo dalla sufficienza. La città sta peggio di prima nonostante De Magistris abbia potuto contare su un consenso larghissimo formato dall’alta borghesia del Vomero ma anche dai quartieri più popolari della città“.

Perché allora i cittadini abbiano deciso di rivotarlo in massa? Secondo il segretario generale della Uilm, le ragioni sono molteplici, a partire dalla qualità dei candidati alternativi: “Lettieri – il cui risultato al primo turno è modesto – era stato già perdente nel 2011. Oggettivamente era difficile pensare che questa volta potesse vincere e aggregare quel pezzo di città che non si riconosce in De Magistris. La candidatura di Valente scontava, invece, quanto successo nel Pd napoletano anche durante le ultime primarie“. C’è però anche dell’altro: “In questi ultimi mesi ha pesato molto anche la disgregazione delle forze intermedie cui anche i sindacati hanno contribuito. Ad esempio, Cgil e Uil in Campania sono commissariate. Questo inevitabilmente ha inciso“.

In casa Pd c’è poi da sottolineare lo scarso o inesistente apporto in campagna elettorale di due pezzi da novanta della classe dirigente campana dei democratici. Il primo nome è quello di Antonio Bassolino, sconfitto nelle contestate primarie che hanno visto prevalere Valente ma che per Sgambati è necessario recuperare in qualche modo alla causa: “Siccome è una persona intelligente, credo sappia benissimo di non poter essere lui l’uomo del cambiamento ma certo potrebbe dare un contributo importante al commissario che sarà scelto. Sempre però che il partito decida di andare a fondo in quest’opera di ricostruzione“. L’altro assente è invece il governatore della Campania De Luca che – secondo una teoria molto diffusa in queste ore (si veda qui la conversazione di Formiche.net con Salvatore Margiotta) – si è volontariamente tenuto alla larga dal voto napoletano: “Sapeva benissimo che la candidatura di Valente non sarebbe andata a buon fine e se n’è rimasto in disparte anche per evitare di compromettere la sua immagine“.

Ma perché la vicenda di Napoli simboleggia la più ampia questione meridionale? A tal proposito Sgambati indica in particolare tre elementi da tenere in considerazione per quanto riguarda il capoluogo campano e il sud Italia nel suo complesso: “Il contrasto all’illegalità è la precondizione fondamentale, il punto da cui non si può prescindere se vogliamo sancire una discontinuità netta con il passato“. E poi, ancora, l’aspetto economico perchè “senza crescita nel mezzogiorno, non potrà crescere neppure l’Italia“. L’ultima questione attiene invece alla qualità della classe dirigente sulla cui crisi Sgambati dice di essere d’accordo con quanto scritto da Roberto Saviano su Repubblica: “Il problema del sud è l’indebolimento delle classi dirigenti a tutti i livelli: l’unico elemento di novità in questa fase è rappresentato dal nuovo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ma non è detto che il leader degli industriali sposti l’attenzione verso il mezzogiorno. Già non è successo in passato con la presidenza del napoletano Antonio D’Amato“.

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