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Alla fine la Banca centrale europea ha fatto la Banca centrale europea. Senza colpi di testa, senza giochi di prestigio. E senza azzardi. Tagliare il costo del denaro di 25 punti base è stata una decisione saggia, figlia di attenti ragionamenti: meglio dare un segnale di continuità condita di giudizio ai mercati, piuttosto che dare uno strappo al motore, col rischio di fare qualche danno. Marcello Messori, economista e saggista alla Luiss, la pensa esattamente così. E il perché, lo spiega a Formiche.net.

La scorsa settimana la Banca centrale europea ha tagliato, per la seconda volta negli ultimi tre mesi, il costo del denaro. L’Italia, però, si attendeva qualcosa in più di 25 punti base. Chi ha ragione? E davvero la filosofia del day by day di Lagarde è la scelta più giusta?

Credo sia stato irrealistico ritenere che la Bce contemplasse la possibilità di tagliare il tasso di interesse di riferimento, che è quello sulle riserve non obbligatorie detenute dalle banche europee presso la banca centrale, per più di 25 punti base. Il fatto di non aver dato seguito prima della pausa estiva al taglio nei tassi, attuato lo scorso giugno, indicava chiaramente la volontà della Bce di non ridurre il tasso di riferimento per più di 50 punti base complessivi fra giugno e settembre. Vero è che, dato l’andamento effettivo e atteso del tasso di inflazione nell’eurozona, questa riduzione complessiva nei tassi di interesse fa sì che l’intonazione della politica monetaria della Bce rimanga restrittiva.

Va bene, ma la rotta della Bce quale è?

La questione sostanziale è un’altra: a fronte della stagnazione dell’economia europea, la Banca centrale è pronta ad avviare una sistematica riduzione dei tassi di policy fino a rendere espansiva la sua politica monetaria? Nell’ultima riunione, la presidente Lagarde ha lasciato intendere che si tratta di una possibilità concreta. Per sostenere l’economia europea, sarebbe però necessario che la Bce prendesse impegni più cogenti al riguardo. In una fase di grande incertezza come l’attuale, sarebbe irragionevole chiedere a una Banca centrale di assumere impegni quantitativi determinati rispetto alla sequenza delle sue future decisioni. Ed è invece lecito sollecitare impegni rispetto alle scelte future di politica monetaria in funzione dei possibili andamenti macroeconomici.

Sponda americana. La Federal Reserve potrebbe avviare una svolta di politica monetaria, dopo il disaccoppiamento con la Bce di giugno (la Fed rimase ferma, mentre la Bce agì). Tornerà la sintonia tra le due politiche monetarie?

Sono convinto che la Fed si appresti ad aprire una fase di ripetuti tagli nei propri tassi di interesse di policy. E, dati i vincoli posti dalle imminenti elezioni presidenziali e dalla comunicazione dei risultati, azzardo l’ipotesi che il primo taglio della Fed sarà di 50 punti base. Se così accadesse, solo in apparenza si aprirebbe un periodo di sintonia fra Bce e Fed.

Perché?

A fronte di un’economia statunitense che rallenta ma è ancora lontana dalla stagnazione, la Fed attuerebbe infatti in modo esplicito proprio quella politica monetaria che, giuste le mie precedenti considerazioni sulle scelte della Bce, Francoforte si sta rifiutando di palesare. Pertanto, non credo che tornerà la sintonia fra le due maggiori banche centrali del mondo. Ciò accadrebbe solo se la Bce abbandonasse la sua cautela e contribuisse alla fuoriuscita dell’economia dell’euro-area dalla stagnazione

Il rapporto Draghi ha finalmente visto la luce. Per molti è un vademecum da cui è impossibile prescindere, per altri un catalogo di buoni consigli o poco più. Lei che ne pensa? E come la mettiamo con il debito comune su cui poggia buona parte del lavoro che non piace ai tedeschi? Rimarrà un libro dei sogni?

Come ho scritto (insieme a Marco Buti) in un lavoro che è stato pubblicato oggi dal Think tank di Bruegel, ritengo che il rapporto Draghi individui i principali problemi dell’Unione europea e definisca gli strumenti di politica economica che sono necessari per superarli. Il modello produttivo europeo è obsoleto. Per cambiarlo e per salvaguardare al contempo l’ineguagliato modello sociale europeo, non basta mobilizzare la pur ingente ricchezza privata in mano alle famiglie e alle imprese della Ue. Occorre anche realizzare un finanziamento pubblico centralizzato, alimentato dal rafforzamento del bilancio della Ue e dalla connessa creazione di una capacità fiscale centrale, e produrre così appropriati beni pubblici europei.

C’è un problema. La Germania. E non solo lei…

La Germania e molti altri Paesi della Ue resistono a questa prospettiva che impone una cessione significativa di sovranità nazionale. Ne dobbiamo indurre che l’indicazione di Draghi sia irrealistica? Direi di no. Come mostra Draghi, piuttosto è irrealistica la posizione di molti politici nazionali dei Paesi europei che ritengono possibile mantenere il benessere attuale della Ue senza cambiarne il modo di produzione. La scelta effettiva è: preferiamo avanzare nell’integrazione europea oppure difendere le sovranità nazionali condannandoci al declino economico e a una futura marginalità economico-sociale. Lascio ai lettori scegliere chi pecchi, al riguardo, di scarso realismo.

Il governo sta per mettere a terra la sua terza manovra. L’impressione è sempre quella dei giochi di prestigio, per far quadrare i conti, è così?

Aspettiamo di verificare gli effettivi contenuti della manovra per il 2025 e, soprattutto, il piano fiscale di aggiustamento della durata di sette anni che dovranno essere varati dal governo italiano nei prossimi giorni. Un aspetto mi pare altamente probabile: per essere credibili e conformi alle regole europee, entrambi gli impegni governativi dovranno disattendere larga parte delle proposte messe sul tappeto dai partiti di maggioranza che equivalgono, peraltro, alle promesse fatte da tali partiti ai cittadini italiani. Aspettiamo però di conoscere i contenuti soprattutto della proposta italiana del piano fiscale pluriennale che dovrà essere vagliata dalla Commissione europea e votata dal Consiglio della Ue.

La cautela della Bce, l'impeto della Fed. Messori legge la svolta monetaria

Francoforte ha ormai invertito la rotta, anche se con piccoli passi e senza forzare la mano. Al contrario della Federal Reserve, che si appresta a una rottura più traumatica con la politica monetaria restrittiva. Per questo le due banche centrali non torneranno a braccetto. Draghi? Ha ragione, Berlino la smetta di inseguire il sovranismo economico. Intervista all’economista e saggista della Luiss

War on terror e politica estera americana oggi. Un dibattito ampio

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Le guerre in Iraq ed Afghanistan hanno lasciato uno strascico di profonda divisione in seno alla “comunità geopolitica” americana. Un gruppo composito formato da nuovi nazional-conservatori, libertari, paleocon e sinistra radicale ha assunto una posizione di “disimpegno”, che guarda con scetticismo agli interventi militari, punta a ridurre la spesa per la difesa del Paese e la presenza all’estero, nonché a limitare gli impegni al di fuori delle zone strategiche vitali. Il volume “Homeland: the War on Terror in American Life” del giornalista Richard Beck, affronta dal punto di vista dei “limitazionisti” la questione

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