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Il caso Lacorazza che ha appassionato i detrattori di Renzi e la stampa nazionale, per chi conosce fatti, personaggi e le bagarre personali è molto meno complesso di quanto si possa immaginare, avendo più origini locali che nazionali.

Il fatto. Retrocesso da colonnello a soldato semplice. Da martedì pomeriggio Piero Lacorazza non è più il presidente del Consiglio regionale della Basilicata. Niente di particolarmente anomalo (mai un eletto in Basilicata è stato presidente della massima assise istituzionale per l’intera legislatura) se non fosse che lo stesso Lacorazza è stato il massimo alfiere, insieme a Michele Emiliano, della battaglia a favore del Referendum del 18 aprile scorso sul no alle trivelle in mare.

Per questo subito dopo la sua non rielezione al massimo scranno dell’Assemblea regionale lucano c’è chi ha gridato al dispetto perpetrato nei confronti del ribelle Lacorazza da parte dello stesso Matteo Renzi per mano del governatore lucano (renziano doc) Marcello Pittella. Una storia, ovviamente, tutta interna alla faida del Pd. Lacorazza da parte sua non ha atteso tempo e appena ritornato – dopo due anni e mezzo quasi di legislatura – ha fatto sapere in giro di essere stato vittima di un vero e proprio “killeraggio politico”.

Non solo. A soffiare sulla polemica ci si è messo subito anche l’ex capogruppo del Pd alla Camera dei deputati e amico di gioventù di Lacorazza, Roberto Speranza che da Roma ha lanciato bordato contro Renzi e Pittella per la scelta politica. Insomma è di nuovo bagarre nel Pd. La vicenda però, per chi la conosce bene, non nasce e muore nelle ultime settimane.

Piero Lacorazza non è un semplice soldato del Pd lucano. Ha le stigmate del big. E non è semplicemente il più anti-renziano dei democrat lucani. Lui, infatti, nemmeno trentenne fu il primo segretario regionale dell’allora appena nato Partito democratico nel 2007 da sponda diessina. E già da allora mostrò il piglio di quello poco incline alla mediazione. In un paio di anni mise alla porta illustri esponenti ex della Margherita (tra cui l’ultimo segretario regionale) per cavilli di regolamento e fece imbufalire più di qualche suo mentore per la forza con cui insisteva sul limite dei mandati da inserire nello Statuto che in quei tempi ancora veniva redatto. Fatto sta che si trovò sostituito in corsa e candidato alla presidenza della provincia di Potenza. Eletto non risparmiò stoccate al suo predecessore che pure aveva le sue stesse targhe politiche.

Gli anni sono strascorsi fino al 2013 quando il Pd lucano mostrò le prime crepe interne. Furono mesi in cui non ci si metteva d’accordo sul candidato governatore: fatto inedito per la Basilicata, dove il centrosinistra nei 4 lustri precedenti mai aveva avuto difficoltà a individuare il candidato “perfetto”. Prima Antonio Boccia (che poi fu parlamentare), poi Filippo Bubbico (oggi viceministro) e infine due volte Vito De Filippo (attuale sottosegretario alla Sanità). Ma le dimissioni anticipare dello stesso De Filippo misero a nudo le debolezze e la stanchezza di un centrosinistra lucano ormai parente lontano di quello delle maggioranze da record del 70 per cento e passa. E così dopo il “no grazie” di Speranza (a cui tutti nel Pd chiesero il sacrifico della corsa sicuramente vincente alla Regione) furono bruciati in poche settimane tutti gli aspiranti di mediazione tra cui anche Giampaolo D’Andrea attuale Capo di Gabinetto del Ministro Franceschini ed ex sottosegretario. E così quasi a sorpresa uscì il nome di Piero Lacorazza che però non univa tutti. Alla fine tra pochi entusiasti e di certo più numerosi malpancisti fu lui il candidato dei grandi del partito. Ma non unico. A mettersi di traverso l’assessore uscente Marcello Pittella (allora novello renziano) che sfidò alle primarie praticamente tutti. Lacorazza ovviamente partiva largamente con i favori del pronostico ma qualcosa non funzionò tra i suoi stessi sostenitori tanto che Pittella vinse se pure con trecento preferenze circa su quasi 60 mila voti.

Inutile dirlo che fu proprio allora che partì quel terremoto politico che in un paio di anni ha portato il Pd a dilaniarsi in tutti i comuni della Basilicata. In ogni caso poi Pittella divenne governatore mentre Lacorazza si dovette accontentare di essere eletto consigliere sebbene da primo degli eletti. Furono settimane di tensione fino a una sorta di tregua tra i due ex sfidanti con Pittella che agevolò (dopo avergli offerto anche una poltrona da assessore) l’elezione di Lacorazza a presidente del Consiglio regionale. Allora l’ex diessino poteva contare su una pattuglia di consigliere regionali a lui fedeli abbastanza cospicua. Da allora però la mappa politica è cambiata. Praticamente tutti sono diventati renziani tranne il capogruppo del Pd, fedele a Speranza che alla decisione del Pd e di Pittella di non sostenere più Lacorazza ha dichiarato di rimettere il mandato da presidente del gruppo consiliare.

E a dirla tutta nei banchi del Consiglio martedì di gente pronta a strapparsi i capelli per il declassamento di Lacorazza ce ne erano veramente pochi. Perché se pur fosse che Renzi non sopporta Lacorazza (come urlato ai quattro venti in queste ore Speranza) è altrettanto vero che l’ex presidente del Consiglio regionale nonostante l’acume politico non è un politico che brilla nel saper coltivare simpatie (altrimenti due anni e mezzo fa avrebbe vinto senza fatica le primarie), si dice tra i renziani lucani.

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