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Che lezione dovrebbe trarre Matteo Renzi dal voto del 5 giugno? Che tipo di contraccolpi si possono ipotizzare per il governo? Perchè “i moderati” Stefano Parisi, Gianni Lettieri e Alfio Marchini hanno ottenuto a Milano, Napoli e Roma risultati così diversi? Sono solo alcune delle questioni sollevate dal primo turno delle amministrative 2016, in attesa dei ballottaggi del prossimo 19 giugno. Domande che Formiche.net ha rivolto a Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, esponente di spicco del Nuovo Centrodestra e membro della maggioranza di governo.

Che tipo di contraccolpi produrrà il voto di ieri per Renzi e il suo governo?

Non ci sono contraccolpi per il governo. Tuttavia – dai risultati del primo turno delle amministrative – emerge chiaramente un Partito Democratico in grande sofferenza. A mio parere, il Pd soffre perché non ha fatto alcuna intesa reale con i partiti del centro e in molte situazioni neppure con quelli della sinistra.

E cosa doveva fare il Pd di Renzi?

Mi limito ad osservare che il motto “molti nemici molto onore” non è che abbia prodotto chissà quali risultati positivi nella storia italiana. L’arroganza dell’autosufficienza che il Pd sta applicando in due direzioni – a sinistra e verso il centro – non porta da nessuna parte. In politica devi consolidare la tua forza ma poi è necessario concentrarsi sul terreno delle alleanze politiche. Le faccio un esempio: in passato il fanfanismo ha avuto una grande forza sul terreno della gestione del potere politico, economico e della cosa pubblica ma non ha mai avuto il senso delle alleanze interne ed esterne alla Democrazia Cristiana. Per questo motivo sappiamo con certezza che è andato incontro a problemi abbastanza seri.

Il Nuovo Centrodestra appoggiava Parisi a Milano, Lettieri a Napoli e Marchini a Roma. Come spiega i risultati così diversi che hanno ottenuto e, soprattutto, la performance negativa dell’imprenditore romano? 

Credo che per Marchini si sia rivelata una sorta di bacio della morte l’intesa con Berlusconi, che a Roma – con il suo partito, Forza Italia – è al massimo della caduta politica e organizzativa. La forza di Marchini era sempre stata quella di presentarsi come un civico e di non poter essere accomunato in alcun modo al fallimento di Gianni Alemanno e di Ignazio Marino. Carattere di civico autonomo che ha inevitabilmente perso quando si è schiacciato sull’alleanza con Berlusconi. Bisogna ricordare a tal proposito che Marchini ha addirittura presentato le ipotesi della sua nuova giunta insieme a leader di Forza Italia che però, a differenza del passato, non è più in grado di portare – almeno a Roma – una cospicua percentuale di voti.

A proposito di Roma, il risultato di Virginia Raggi – per la rilevanza del distacco da Roberto Giachetti – quanto l’ha sorpresa?

Ritengo che Roma sfugga a qualunque definizione politica normale: nella capitale c’è stata una reazione di rigetto di larga parte dell’elettorato nei confronti del fallimento sia del centrodestra che del centrosinistra. L’affermazione di Virginia Raggi va collocata in questo contesto.

Specie in alcune realtà, il M5S ha fatto però un evidente balzo in avanti. Perché?

Di sicuro una delle novità di questo voto è il risultato dei grillini che tradizionalmente alle amministrative non avevano quasi mai vinto. Una novità determinata dal fatto che esiste un forte deterioramento delle forze politiche nel campo del centrodestra e del centrosinistra. Il risultato di Virginia Raggi, a mio modo di vedere, è molto simile a quello di Chiara Appendino a Torino. Il M5S questa volta ha scelto persone molto equilibrate, che si presentano in una chiave rassicurante senza ripetere gli exploit di Grillo che in molti casi in passato avevano spaventato l’elettorato.

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