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Gentile direttore,

sembrano ritornati di moda nella politica italiana gli spin doctor made in Usa. Erano già andati in scena ai tempi di Prodi e Berlusconi con magri risultati e furono rapidamente messi alla porta.

Ma mentre più o meno nuove strategie elettorali vengono vagheggiate in vista del referendum d’autunno, l’Italia assimila sempre più inconsapevolmente ben altre dinamiche comunicative stars and stripes.

Noi italiani abbiamo assistito al fenomeno di spettacolarizzazione dei processi all’inizio degli anni Novanta, ben presente negli Stati Uniti già oltre dieci anni prima, e da allora questo genere di romanzo più o meno criminale ha finito col conquistarci definitivamente, al punto che la comunicazione di crisi di carattere giudiziario è oggi il settore più delicato, quello che richiede il maggior livello di professionalità e competenza.

L’ex ministro Federica Guidi, i sindaci Federico Pizzarotti (M5S – Parma), Filippo Nogarin (M5S – Livorno), Simone Uggetti (PD – Lodi), il consigliere regionale e presidente del PD campano, Stefano Graziano, sono tutti recentissimi esempi (ma ci sono anche Ignazio Marino, Roberto Maroni, Roberta Pinotti, ecc…) di vicende mediatico giudiziarie più o meno fondate in campo penale e con un ampio e talvolta totalmente fuorviante sviluppo in ambito giornalistico.

Il clima è secondo alcuni assai pesante e molti vedono nella presidenza Davigo dell’ANM un efficacissimo prologo al remake di Tangentopoli. Sindaci di importanti città – tra cui il primo cittadino di Catania ed ex ministro dell’Interno, Enzo Bianco – chiedono di poter «dare risposte alle domande dei cittadini in un quadro di regole certe», denunciando «vicende giudiziarie che diventano oggetto di scontro politico indipendentemente dall’oggetto dell’indagine» e appellandosi a presidente della repubblica, parlamento, governo, magistratura e altre istituzioni, niente meno che per salvaguardare «la reputazione dei sindaci».

Stiamo però assistendo per certi versi a un ‘salto di qualità’ che trasferisce nella realtà le cronache narrate in serie di successo come la citatissima House of Cards e la meno nota ma riuscita Marseille (disponibile su Netflix).

Non vi è più solo l’ipotesi, di volta in volta tutta da verificare, di inchieste in cerca di riflettori, con informazioni di garanzia e ordini di custodia cautelare costruiti più per impressionare l’opinione pubblica che per reggere, verifiche alla mano, un confronto in sede processuale. Assistiamo ormai, che si tratti di campagne elettorali o di apparati dello Stato, a guerre condotte a colpi di inchieste e dossier, talvolta anonimi, talvolta firmati, che escono con una tempistica ben precisa e hanno una ricaduta che va spesso ben oltre l’informazione. Mi riferisco a Crocetta, all’ammiraglio De Giorgi o alla incandidabilità di Sala, sollevata all’indomani della presentazione delle liste dal settimanale Panorama.

Siamo entrati pienamente, anche se poco consapevolmente, in una nuova stagione della comunicazione. Un ‘game’ più pericoloso del solito, che si gioca con regole e strumenti differenti e spesso corsari.

Temo, caro direttore, che chi pensa di cavarsela con un tweet, un richiamo alla politicizzazione della magistratura o banalmente con l’improvvisazione, dovrà fare i conti con brutti risvegli.

Andrea Camaiora, giornalista, esperto in Litigation pr

Perché non basta un tweet contro i dossier

Gentile direttore, sembrano ritornati di moda nella politica italiana gli spin doctor made in Usa. Erano già andati in scena ai tempi di Prodi e Berlusconi con magri risultati e furono rapidamente messi alla porta. Ma mentre più o meno nuove strategie elettorali vengono vagheggiate in vista del referendum d’autunno, l’Italia assimila sempre più inconsapevolmente ben altre dinamiche comunicative stars…

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