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In che momento della guerra siamo? “È una fase di attesa e ridefinizione”, risponde Giuseppe Dentice, responsabile del Mena Desk del CeSI, con cui Formiche.net ha analizzato ogni mese le evoluzioni della situazione attorno al conflitto tra Israele e Hamas, esploso dopo l’attacco del 7 ottobre ed evoluto in una guerra sanguinosa che ha prodotto oltre 40mila morti e riflessi regionali e internazionali.

Dopo i duri colpi subiti da Hamas, e dall’alleata Hezbollah, a fine luglio, ci si attende una ridefinizione del fronte interno e degli equilibri attorno ad esso, spiega Dentice, “anche in funzione della mancata reazione ufficiale di Teheran a quanto accaduto”. L’esperto del CeSI si riferisce all’eliminazione dei leader Ismael Haniyeh di Hamas e di Fuad Shukr di Hezbollah, rispettivamente uccisi in operazioni mirate israeliane a Teheran (mai rivendicata) e Beirut (ufficializzata). La Repubblica islamica iraniana e la milizia libanese avevano promesso una rappresaglia imperiosa, che però — al di là di una narrazione necessaria per ragioni di immagine — in realtà è stata più che contenuta.

“Siamo in attesa ancora di capire cosa accadrà, perché non è detto che quella partita sia finita, ma intanto Israele sfrutta il momento per giocare le proprie carte. D’altronde, dopo essersi trovato tra giugno e metà luglio quasi schiacciato in un angolo, trova respiro. Prima era quasi costretto a dover scegliere tra un compromesso negoziale che non l’ha mai soddisfatto, oppure portare la guerra alle estreme conseguenze”, spiega Dentice. Tra queste, una possibile guerra con l’Iran è certamente la più estrema.

“Dopo la visita di Washington e il discorso al Congresso, dopo il riequilibrio all’annuncio di Kamala Harris quale candidata dei Democratici (ossia di una politica che potrebbe essere più severa nei confronti di Israele, ndr), il primo ministro Benjamin Netanyahu sta cercando di dare una nuova forma a Israele e ai suoi nemici, e dunque alla struttura di sicurezza nella regione”, aggiunge l’esperto.

Ma cosa sta facendo adesso Netanyahu? “Sta cercando di ingarbugliare ulteriormente la matassa dei negoziati sulla guerra, sta aprendo un fronte ormai definitivo al nord della Cisgiordania, e sta alimentando la propaganda anti-iraniana per mettere Teheran in difficoltà, spingendolo a una reazione squilibrata che possa far passare Israele vittima e l’Iran come forza d’aggressione”.

In definitiva, Israele è in una posizione favorevole, in grado di segnare il procedere della situazione. E però, c’è un problema di bussola interna, da sempre grande limite per Netanyahu: proteste, sciopero, scontri in Cisgiordania, opposizione nelle opinioni pubbliche occidentali e in alcune leadership. “È effettivamente qui il problema, e non tanto per ciò che riguarda gli Stati Uniti in una fase complessa di Usa2024. È in Europa che vediamo una posizione molto meno appiattita e totalmente favorevole a Israele, perché si esprime chiaramente disagio rispetto alla gestione umanitaria del conflitto da parte del governo Netanyahu”.

Non ci sono solo gli scatti in avanti sulla disponibilità al riconoscimento della Palestina da parte di alcuni Paesi, come per esempio Spagna, Norvegia e Irlanda. Ci sono stati i ban su alcune forniture militari a Israele, misura che segue anche quanto fatto dal Canada qualche settimana fa.

Siamo in una nuova fase? “Ci stiamo entrando, ma immaginiamo che essa possa restare piuttosto stabilizzata fino alle elezioni di novembre, quando sapremo se vincerà Donald Trump o Kamala Harris. Israele ha totale interesse a comprendere chi sarà il suo prossimo interlocutore. Se Netanyahu potrebbe avere maggiore capacità a portare avanti istanze e priorità con Trump, con Harris potrebbero aumentare i problemi”. Oltre a quella già critica contro il governo israeliano, la candidata democratica ha infatti espresso una posizione personale riguardo agli “abusi” commessi da Israele contro i civili palestinesi.

Undici mesi di guerra a Gaza. Le carte di Netanyahu secondo Dentice

Nuova fase della guerra? “Ci stiamo entrando”, risponde Giuseppe Dentice (CeSI), “ma immaginiamo che tutto possa restare più o meno stabile fino alle elezioni di Usa2024”. Israele ha per ora in mano l’agenda della situazione, ma attende il prossimo interlocutore a Washington, mentre osserva il calo del sostegno dall’Europa

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