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Il migliore commento alle nomine alla Rai l’ho trovato in una vignetta dell’impareggiabile Sergio Staino. Che sull’Unità ha liquidato le proteste della sinistra contro la sostituzione di Bianca Berlinguer alla guida del Tg3, il vecchio Telekabul di Alessandro Curzi, facendo dire allo sconsolato militante del Pd, a proposito dei nuovi spazi assegnati all’ex direttrice: “Non volevano punire lei ma noi”. Noi intesi come telespettatori, oltre che elettori di una certa parte politica.

A breve rivedremo, o rivedranno, ogni giorno la brava Bianca per mezz’ora prima dell’edizione più diffusa del Tg3 alle prese con l’argomento che preferisce. E che sarà aiutata a scegliere da Michele Santoro, col quale probabilmente collaborerà, o dal quale si farà consigliare, pure nelle seconde serate che le saranno assegnate da febbraio.

Per essere stata un’operazione pretesa da Matteo Renzi, o un piacere fattogli dalla maggioranza del Consiglio di Amministrazione della Rai per mettere in riga o silenziare la dissidenza interna al Pd, come si è detto e scritto da tante parti, e come la stessa Berlinguer nel saluto di commiato ha detto parlando delle “scomposte” critiche ricevute dai sostenitori del segretario del suo partito e presidente del Consiglio, si dovrebbe rimanere costernati. Sarebbe non un gol segnato da Renzi, o da chi per lui, ma un’autorete.

A costo di essere o di apparire ingenuo, sul piano strettamente professionale credo che l’ex direttrice e spesso anche conduttrice del Tg3 dopo sette anni di guida della testata, che non sono pochi, ci abbia non rimesso ma guadagnato. Condivido l’opinione espressa dal consigliere filorenziano del Consiglio d’Amministrazione della Rai Guelfo Guelfi che Bianca Berlinguer sia stata non retrocessa ma “promossa”.

Lo scrivo con tutta sincerità, formulando a Bianca i migliori auguri per le nuove esperienze che l’aspettano e rammaricandomi per le scomposte critiche- esse sì- ricevute non dai renziani, veri o presunti che siano, ma da giornalisti di area di centrodestra che hanno compensato la loro pelosa solidarietà di antirenziani esterni al Pd col rimprovero, diciamo così, di essere a suo tempo entrata in Rai e fatto carriera più per il cognome che porta che per le sue capacità. Ecco, questa sì la considero una polemica disonorevole, per non dire di peggio, perché presuppone il divieto allucinante a un cosiddetto figlio o figlia di papà di lavorare.

Che questo divieto venga poi sostenuto, volente o nolente, con un certo tipo di polemiche da chi esercita una professione come il giornalismo, dove si sprecano figli, figlie, coniugi, amanti, cugini e nipoti di firme grandi, meno grandi e persino piccole, è una cosa che un po’ mi ripugna. E di cui mi verrebbe voglia di scusarmi, come collega, con l’ex direttrice del Tg3.

Noi giornalisti riusciamo spesso a fare peggio dei politici che con tanta presunzione critichiamo. Meno male che le vignette sono tante volte migliori dei nostri arzigogolati e ipocriti articoli.

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Vedrete che a Renzi gli avversari riusciranno ora a contestare –qualcuno vi aveva già provveduto prima della sua partenza- anche l’epilogo della trasferta a Rio per l’inaugurazione delle Olimpiadi.

Gli contesteranno di avere portato “sfiga” alle schermista italiana Rossella Flamingo con tutti quei messaggini che le ha inviato col telefonino durante le gare di spada individuale procurandole “un’ansia”, confessata dalla stessa Rossella, che può averle nuociuto. Per fortuna la campionessa ha mancato l’oro ma si è guadagnato quel mezzo chilo d’argento che orgogliosamente ha appeso al collo.

E’ andata peggio al ciclista Vincenzo Nibali, rovinosamente caduto a 12 chilometri dall’oro e costretto al ritiro da due fratture. Qualcuno avrà da ridire –vedrete anche questo- pure sul “passaggio” offerto allo sfortunato Nibaldi da Renzi sull’aereo che ha riportato il presidente del Consiglio in Italia. Dove farà in tempo a leggere di persona l’ordinanza con la quale la Cassazione, con uno sconto di qualche giorno sui tempi a sua disposizione, sta dando via libera al referendum confermativo sulla riforma costituzionale.

Chissà se anche Sergio Mattarella e Renzi faranno agli italiani qualche sconto sui 60 giorni di tempo di cui dispongono per la formalizzazione del ricorso alle urne. E se il presidente del Consiglio, in particolare, già allertato su questo dalle opposizioni, farà il suo sconto sulla forbice che gli dà la legge per la scelta della data: dai 50 ai 70 giorni dall’indizione del referendum.

Accontentiamoci del fatto che, grazie al minisconto della Cassazione, sia materialmente scongiurata la follia di votare sulla riforma costituzionale la domenica, quest’anno, di Natale.

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Una piccola mano al segretario del Pd e presidente del Consiglio l’ha data, a suo modo, in questi giorni di dure polemiche Eugenio Scalfari scrivendo sulla sua Repubblica che è tanto esagerata “la narrazione renziana” di se stesso e della realtà del Paese quanto eccessiva “la narrazione antirenziana”.

Molto dipenderà forse per il giudizio finale di Scalfari dal finale che riserverà Renzi alla partita della riforma della legge elettorale della Camera, reclamata dal fondatore della Repubblica come condizione per votare sì al referendum costituzionale. Una riforma promessagli, non so se personalmente o per interposta persona, dallo stesso Renzi, tanto da indurre Scalfari di recente a dare l’annuncio di una iniziativa di cambiamento “radicale” del cosiddetto Italicum preannunciatagli da una fonte tanto alta e attendibile quanto innominabile.

Meno generoso di Scalfari su Renzi è stato Ciriaco De Mita. Che, fastidiosamente intervistato dal Corriere della Sera sulla decisione di mettere in vendita a 11 milioni di euro l’attico di 600 metri quadrati, a due passi dalla Fontana di Trevi, vendutogli a meno di 3 milioni e mezzo cinque anni fa da un ente previdenziale, ha trovato il modo di dire di Renzi che “ha puntato tutto sulla speranza, ma se la speranza non incontra la realtà”, come sembra credere l’ex segretario della Dc, “è inevitabile che poi finisca per spegnersi”.

Quanto poi alla vendita del suo attico, da cui immodestamente “è passata la storia d’Italia”, quella almeno dei suoi anni di potere, il sindaco di Nusco ha rovesciato il ruolo d’intervistato chiedendo: “Dov’è la notizia?”. Almeno la notizia intesa come “reato”. Come se tutte le notizie che si rispettano dovessero essere quelle dei reati. Cosa, d’altronde, conforme alla Repubblica giudiziaria in cui abbiamo spesso la sensazione di vivere.

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