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Strappo ricucito e riforma quasi in tasca. La due giorni non stop della commissione Finanze ha sancito la pace tra le due anime della riforma del credito cooperativo, tutte targate Pd. Quella bersaniana, che voleva maggiori garanzie sulla salvaguardia della natura cooperativa delle banche in caso di mancata adesione alla capogruppo (il cosidetto way out) e quella renziana, che al contrario auspicava una cambio di dna delle bcc, mettendo le riserve indivisibili, in pratica il patrimonio delle bcc, nelle mani di pochi soci dopo la trasformazione in spa.  Alla fine però, grazie anche alla mediazione del relatore Giovanni Sanga e del capogruppo dem in commissione Michele Pelillo, l’intesa è arrivata e i malumori sono rientrati. Il testo riformulato dovrebbe arrivare in Aula il 22 marzo, per essere blindato con la fiducia.

COSÌ SI È RICUCITO LO STRAPPO

“Altroché se c’è da essere soddisfatti”, dicono ai piani alti della Camera, dentro la commissione. E in effetti, quando pochi giorni fa venti senatori dem capeggiati Massimo Mucchetti si erano scagliati contro la riforma abbracciando i dubbi di Federcasse e chiedendo al governo profondi correttivi, le cose sembravano mettersi male, col profilarsi all’orizzonte dell’ennesimo scontro interno al Pd, per giunta su una delle riforme più delicate del 2016. Tanto che sia il ministro per le Riforma Maria Elena Boschi, sia il viceministro dell’Economia Enrico Morando, si erano precipitati a Montecitorio per riprendere in mano la situazione. Dopo ore di riunioni e di triangoli governo-maggioranza-minoranza, proseguiti fino alla tarda mattinata di ieri è stato raggiunto il punto di caduta, che ha messo d’accordo un po’ tutti, sancito dal via libera della commissione al way out riscritto.

COME FUNZIONA IL (NUOVO) WAY OUT

Dunque, come verrà evitata l’adesione alla riforma che prevede l’obbligo di entrare nella capogruppo controllata da una spa sua volta partecipata dalle stesse banche, con l’obiettivo di aggregare gli istituti più piccoli e permettere alle Bcc di accedere a capitali che non arrivino solo dai soci? Il way out sarà utilizzabile sia per le bcc con un patrimonio superiore ai 200 milioni, sia per quelle più piccole ma disposte a a conferire l’attività bancaria a una spa congiuntamente con un istituto più grande. Per presentare alla Banca d’Italia la richiesta di non aderire alla riforma trasformandosi direttamente in società per azioni o deliberando la liquidazione, poi è stato fissato il termine di 60 giorni a partire dalla data di conversione del decreto. E per farlo la banca dovrà versare allo Stato il 20% del patrimonio netto: solo così potrà conservare le proprie riserve indivisibili, che rimarranno in capo a una coop e non finiranno nella spa a cui verrà conferita l’attività bancaria, dunque nelle mani di soci occulti. Chi invece decidesse di aderire alla capogruppo salvo poi cambiare idea, potrà avvalersi della facoltà di recesso ma senza usufruire del way out nella sua forma classica, ovvero rinunciando alle riserve che verranno devolute ai fondi mutualistici e scegliendo tra la liquidazione o la trasformazione immediata in spa.

ZOGGIA, (L’ALTRO) MEDIATORE

Ma nella lunga maratona che ha portato la commissione a mettere in sicurezza il grosso della riforma, un ruolo chiave nella sostanza, seppur defilato formalmente, lo ha giocato Davide Zoggia, espressione di quella minoranza bersaniana che per dirla con le parole del suo ispiratore, Bersani, non avrebbe “votato la riforma così com’era nemmeno con dieci fiducie”. Zoggia, che solo due giorni fa aveva sventolato il cartellino rosso sulla riforma, sottolineando come l’impianto senza correttivi al way out non andasse proprio, si sarebbe messo successivamente a cercare la mediazione, dentro e fuori la commissione. Missione, a quanto pare, compiuta visto l’esito felice della trattativa, anticipato in una nota dallo stesso Zoggia nel pomeriggio di ieri. “Come parlamentari della sinistra Pd siamo riusciti a raddrizzare, almeno in parte, il provvedimento sulle banche di credito cooperativo, ottenendo diversi cambiamenti”.

SI SALVANO LE BCC DELL’ALTO ADIGE

Chi potrà fare a meno della riforma? Le casse Raiffeisen altoatesine, che resteranno autonome e non dovranno aderire ad un gruppo nazionale. I parlamentari Svp, il partito dell’Alto Adige, hanno infatti fatto inserire una norma che garantisce l’autonomia delle casse rurali altoatesine. Le Raiffeisen di Bolzano avranno dunque il diritto di costituire una holding autonoma con sede in Alto Adige, senza dover far riferimento al gruppo nazionale.

ARRIVA IL FONDO CHE PIACE A FEDERCASSE

A sorridere è anche Federcasse presieduta da Alessandro Azzi, al netto della conquista sul way out. Sarà infatti creato, nella fase di un Fondo di sostegno delle stesse banche. Una proposta di modifica, avanzata in primis nei giorni scorsi da Federcasse e su cui ci sarebbe il parere favorevole del governo. Di che si tratta? Il fondo favorirà “processi di consolidamento e concentrazione delle Bcc”, agevolando eventuali operazioni di fusione, favorendo “l’avvio immediato, una volta convertito in legge il decreto, di un processo di razionalizzazione tra le banche di credito cooperativo”, aveva fatto notare la federazione delle Bcc giorni fa.

L’AFFONDO DEI GRILLINI

Ci sono però degli scontenti. Il Movimento Cinque Stelle, che continua a non apprezzare la riforma del credito cooperativo. “Le modifiche delle ultime ore non mutano la natura del provvedimento”, hanno affermato i deputati M5S. “Che senso ha scindere la Bcc che vuole restare fuori dalla holding unica in una coop senza un fine chiaro e una spa debole? La logica della way out non funziona a prescindere, perché non aveva senso costringere tutti dentro una holding unica: stiamo combattendo duramente contro il trionfo del modello unico ‘Banca Spa’, quello che ha generato gli sfasci del post Lehman Brothers”.

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