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Ieri Antonio Signorini con un sms mi ha dato la cattiva notizia. E da allora non penso ad altro che a lui.

Al collega che per quasi due anni mi ha seguito, mi ha guidato, mi ha a volte sopportato mentre sovente scalpitavo nella scrivania a fianco la sua.

Al collega di esperienza e di livello al quale ho carpito segreti e chiesto consigli. E lui, come sempre, prodigo di suggerimenti. Senza altezzosità, con la sua innata bonomia. Da vero signore.

Un maestro che ha insegnato con l’esempio, la dedizione, la passione, la competenza, l’arguzia e la sagacia di chi sa molto ma non gigioneggia.

Perché i giornalisti-signori come lui non amano le comparsate tv nei dibattiti-pollai, si tengono alla larga dalla facile demagogia, disdegnano i toni grevi.

Perché i giornalisti veri continuano a fare, a volte, i pastoni di giornata pur avendo titoli, competenze ed esperienza per commentare, analizzare ed editorialeggiare.

Ma lui – umile e orgoglioso al contempo – non smaniava per la prima pagina anche se la meritava, non sgomitava per scrivere commenti che lui scriveva peraltro meglio di altri, non se la tirava anche se poteva e doveva per quanto ne sapeva.

Nei suoi pezzi c’era tutto: la cronaca, i fatti, i numeri essenziali, la ricostruzione, l’analisi, il commento e lo scenario. E tutto scritto in maniera chiara, comprensibile. Non per gli addetti ai lavori.

Guardandolo, seguendolo e leggendolo ho imparato molto. Perché alla fine contano solo le opere, il duro lavoro, la serietà e la correttezza, non il chiacchiericcio, le relazioni, le conventicole e la vanagloria mediatica.

Ciao Lello, grazie di tutto, grazie di cuore.

Gian Battista Bozzo, l'economia e il giornalismo

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