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Che proprio l’Austria stia testando uno dei più interessanti programmi di inserimento lavorativo e di distribuzione su tutto il territorio nazionale dei profughi, suona particolarmente curioso di questi tempi. Come si sa l’Austria, dopo l’iniziale sostegno alla politica dell’accoglienza della Kanzlerin Angela Merkel, ha cambiato drasticamente rotta e ora sembra essersi messa a capo di quei paesi, soprattutto dell’est, che di accogliere profughi non ne vogliono sapere. Ieri poi c’è stato un mini vertice a Vienna con presenti i ministri dell’Interno dei paesi balcanici (esclusa la Grecia) per concordare un comune piano d’azione. Un’iniziativa che ha escluso la presenza di qualsiasi membro dell’Ue e ha particolarmente irritato Bruxelles. Secondo la Commissione così facendo, non si contribuisce a gestire i profughi ma si alimenta ulteriormente la sensazione nell’opinione pubblica che questa Ue passa il tempo a litigare.

Eppure qualcosa a Bruxelles, ma soprattutto nei singoli paesi, si sta muovendo, si sta facendo per gestire il flusso dei profughi già arrivati e per quelli che arriveranno. Il Tirolo e l’Alto Adige, per esempio, si stanno già attrezzando per gestire il flusso di coloro che potrebbero arenarsi al Brennero, qualora Vienna desse veramente seguito alle sue intenzioni di chiudere prossimamente quel valico di frontiera.

Sui programmi concreti, già in fase di sperimentazione da parte di alcuni Stati per integrare nella società nel mercato del lavoro i rifugiati si è tenuto invece un seminario lunedì scorso a Bruxelles, organizzato dal Comitato economico e sociale europeo (EESC). Tema del seminario: “Integrare i rifugiati nel mercato del lavoro: come trasformare la crisi in una opportunità”. L’EESC è – come ha spiegato Giuseppe Iuliano membro del Comitato e responsabile tra l’altro delle relazioni con i sindacati – l’organo di consulenza della Commissione in ambito sociale ed economico.

Da tempo l’EESC ci occupa del tema profughi anche sotto il profilo lavorativo, ha spiegato Iuliano, visto che “pur essendovi una distinzione tra migranti economici e profughi, anche quest’ultimi dovranno essere integrati”. Il seminario non è stato però un momento di scambio teorico e basta. Al centro dello stesso c’erano tre esempi di progetti di integrazione già avviati: uno in Svezia per iniziativa degli albergatori e ristoratori (per la “Fast Track Integration” è stato messo a punto un sistema di verifica, addestramento e certificazione delle competenze, che potrà essere adottato anche in altri ambiti lavorativi); uno in Belgio per iniziativa civica (“Duo for one job” parte dall’idea di mettere in contatto giovani– profughi ma anche residenti – disoccupati con persone già in pensione, che li accompagnano e affiancano nella preparazione a un impiego e la ricerca di un posto di lavoro); e infine quello in Austria, promosso dalla Camera di commercio nazionale (WKO).

A fronte di un aumento massiccio di richieste d’asilo fatte in Austria l’anno scorso, cioè 90 mila, la WKO a fine anno aveva mandato ai suoi soci una lettera in cui li sollecitava a partecipare al nuovo progetto di integrazione. “La maggior parte dei richiedenti asilo si trova a Vienna o nei pressi della capitale”, ha spiegato Margit Kreuzhuber della WKO. “Solo che il mercato del lavoro a Vienna è saturo, mentre abbiamo molti posti vacanti in altre regioni, per esempio in Tirolo”. Da qui l’idea di un ricollocamento dei rifugiati dopo un’adeguata preparazione. Il programma messo a punto dalla WKO è diviso in cinque fasi. La prima prevede la compilazione online da parte del profugo di un suo profilo, anche nella propria lingua madre. La seconda riguarda le competenze linguistiche che dovranno arrivare al livello B1 (classifica secondo il quadro comune europeo). Segue poi un corso di preparazione generale e successivamente un praticantato per permettere al “candidato” e al “datore di lavoro” di conoscersi. Se tutto va come previsto, il rifugiato viene trasferito nella regione dove si trova il nuovo posto di lavoro. “Nei primi tempi del trasferimento il rifugiato sarà affiancato da un tutor, che si occuperà di lui a 360°: dalla ricerca di un alloggio ai problemi spicci della quotidianità” aggiunge Kreuzhuber. Al momento partecipano al progetto un centinaio di giovani rifugiati, l’idea è però di estendere questo modello anche a giovani disoccupati austriaci, non ultimo perché alla lettera di fine anno della WKO hanno risposto molti più imprenditori del previsto.

Di un altro progetto di integrazione sociale e lavorativa raccontavano invece qualche giorno fa i media tedeschi. In Germania si è, infatti, costituita una rete di solidarietà formata da 36 imprese. A fronte di un clima sempre più preoccupato tra l’opinione pubblica, gli imprenditori hanno deciso di fare la loro parte, dando una mano concreta alla politica. Il primo passo è stato quello di creare la website www.wir-zusammen.de (noi-insieme), una piattaforma per fare sistema, mettere in rete le iniziative e i progetti già partiti e coinvolgere altri imprenditori. L’iniziativa non contempla offerte di denaro (a parte i 500mila euro dati in donazione dai dipendenti di Adidas, che hanno rinunciato alla festa di Natale), ma un impegno concreto delle aziende e dei loro dipendenti. Tra le imprese partecipanti ci sono nomi noti internazionalmente come Adidas, Henkel, Deutsche Post, Siemens.

La piattaforma è stata sponsorizzata dagli imprenditori Ralph e Judith Dommermuth, mentre la partecipazione è gratuita. Tra le iniziative già in corso c’è quella della Deutsche Post con 1000 posti di praticantato per i profughi. Sempre la Deutsche Post mette a disposizione 100 dei suoi dipendenti in veste di coordinatori e tutori nel processo di integrazione. Trattandosi della posta con un forte radicamento territoriale, ci sono poi anche iniziative spontanee come per esempio quella del postino di Bad Kleinen, nell’est della Germania, che si è messo a sistemare le biciclette della posta per i profughi. Adidas, il colosso degli articoli sportivi, offre invece a ognuno dei suoi dipendenti che dedica due giorni di vacanze per aiutare i profughi, altri 3, da usare sempre per questo fine, per esempio per l’apprendimento della lingua o in corsi di educazione fisica. Anche Adidas mette inoltre a disposizione 30 posti di praticantato breve. Il gruppo dei detersivi e cosmetici Henkel si concentra invece sul settore “pronto aiuto umanitario”, il che vuol dire sistemare insieme ai suoi dipendenti alloggi per profughi, organizzare corsi di lingua e lezioni di musica per i più piccoli. Ai dipendenti che intendono partecipare a questa iniziativa vengono riconosciuti permessi pagati fino a 8 giorni all’anno. Infine c’è Siemens che ha messo a punto un percorso propedeutico per accogliere in settembre un centinaio di praticanti. Il percorso riguarda una preparazione linguistica di sei mesi con quattro classi di 16 alunni l’una. I corsi si terranno nelle sue sedi di Berlino, Düsseldorf, Erlangen e Karlsruhe. Le lezioni avranno inizio il 1 marzo, cosicché i partecipanti potranno incominciare il loro praticantato, come previsto in settembre.

Sono soprattutto i corsi di lingua a dare una mano concreta al governo, il quale, dal canto suo sta approntando un programma nazionale di “qualificazione” dei profughi. I corsi di tedesco in questo caso saranno organizzati dall’Agenzia federale per il lavoro. Nonostante tutti questi sforzi, secondo la Camera del Commercio e Industria tedesca (DIHK) un aumento della disoccupazione in Germania quest’anno sarà inevitabile. Ma è anche vero che i profughi contribuiranno al tempo stesso per uno 0,3 per cento alla crescita economica tedesca, una crescita che quest’anno dovrebbe attestarsi all’1,3 per cento.

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