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I curdi siriani hanno sinora fornito, con i peshmerga iracheni, le migliori fanterie della coalizione anti Isis. Hanno permesso agli Usa i maggiori successi contro l’Isis, in particolare a Kobane. Sono però osteggiati dai turchi. Ankara sa che le loro Unità di Protezione del Popolo (Ypg) sono legate al Pkk, l’organizzazione terroristica curda che ha provocato in Turchia quasi 40mila morti. Il Pkk ha combattuto con l’Ypg in Siria. Ankara ritiene che entrambi siano gruppi terroristi, che minacciano la sicurezza turca. A Washington, per la quale la Turchia è essenziale e l’Ypg molto importante, è riuscito finora un difficile equilibrismo fra i due. Ha però scontentato entrambi. La Turchia ha protestato per le armi date all’Ypg. I curdi si sono lamentati perché sarebbero state poche.

Tale equilibrismo è ora divenuto impraticabile. La situazione in Siria è mutata con l’intervento russo. Nel contempo, Ankara ha rotto i negoziati di pace con il Pkk e lo sta bombardando in Turchia e Iraq. Attacca anche l’Ypg in Siria. Esso ha approfittato dei russi per estendere il suo territorio, anche a ovest dell’Eufrate, per ricongiungersi con l’enclave di Afrin e completare il controllo curdo su tutta la frontiera che separa la Siria dalla Turchia. Ha così superato la “linea rossa” dell’Eufrate, che Recep Tayyip Erdogan aveva imposto all’avanzata curda verso Ovest. In questo i curdi sono stati sostenuti da Mosca, che ha visto nell’avanzata curda una buona occasione per seminare zizzania fra Ankara e Washington e per rafforzare Bashar al-Assad. Questo non significa che i curdi abbiano “rotto” con gli Usa. Ritengono conveniente diversificare i loro alleati.

Il Partito Democratico Curdo-Siriano (Pyd) sta verosimilmente dando per certo il successo di Assad, sostenuto dalla Russia. È stato sicuramente ammirato dall’abilità tattica di Mosca, che ha ripetutamente spiazzato gli Usa. Sta pensando al futuro. Giudica gli Usa inaffidabili per garantire la sua sicurezza contro la Turchia, che è molto più importante per gli Usa dei curdi iracheni. Quindi, Washington non s’impegnerà più di quel tanto per difendere la Rojava (denominazione del Curdistan siriano). I curdi sanno anche che non possono garantire da soli la loro sicurezza. Hanno bisogno di protettori. La Russia sembra loro più sicura, purché i curdi stipulino un’intesa con Assad. Sono sicuri di poterla fare. Nel 2011, all’inizio della guerra civile, Assad aveva promesso il riconoscimento della loro nazionalità e una larga autonomia amministrativa. I curdi avevano accettato tali condizioni. Di fatto si sono comportati come alleati del governo di Damasco, combattendo non solo l’Isis ma anche gli altri gruppi d’insorti, in particolare l’Esercito della Siria Libera (Fsa). Unità governative, tra cui la 202^ Brigata, costituita prevalentemente da drusi, sono rimaste nella Rojava.

L’intesa è stata sottolineata dalla recente apertura a Mosca di una missione permanente del Pyd. La futura geopolitica del Medio Oriente si sta precisando, dettata dall’andamento delle operazioni militari. La tregua stipulata a Monaco di Baviera non ha alcun effetto. Assad vuole riprendere il controllo dell’intera Siria. Mosca continuerà i bombardamenti a sostegno delle truppe governative. La Turchia continuerà la sua azione contro i curdi, continuando a sostenere che intende anche contribuire all’azione della coalizione anti Isis. Un eventuale attacco anche all’Ypg e alle forze di Assad da parte della Turchia e dell’Arabia Saudita, non potrà essere decisivo. Non è neppure probabile. I rischi di escalation sono troppo rilevanti. Potrebbero essere accettati da Ankara e Riad solo con un completo sostegno statunitense, che Obama non sembra disponibile a dare. Accetta quasi passivamente la bancarotta della sua politica mediorientale.

L’ambiguità comunque domina. Favorisce Mosca. È infatti una delle regole chiave della “dottrina Gerasimov” (dal nome del capo di stato maggiore generale russo), sulla cosiddetta “guerra ibrida”. Non si tratta di una nuova forma di guerra. È vecchia come il mondo. È particolarmente efficace contro un avversario, come gli Usa, incerto sui suoi obiettivi, sulla strategia da seguire e sui costi e rischi che è disposto ad assumere. Il “gioco” rimarrà saldamente nelle mani di Vladimir Putin. La scacchiera su cui gioca il presidente russo è molto più ampia della Siria. Mira ad affermare il ruolo globale di Mosca, dopo quello che Putin ha definito “il più grande disastro geopolitico della storia”: il collasso dell’Unione Sovietica.

Gli analisti sono incerti su quali siano gli obiettivi finali di Putin. Potrebbero essere due: una graduale riconciliazione che mantenga la Siria unita con un governo senza Assad, ma favorevole alla Russia (la soluzione è analoga ad una vittoria del presidente siriano); oppure, la divisione della Siria in due o tre mini-Stati. Il primo, nella parte occidentale del Paese, da Damasco a Latakia, sarebbe governato dai successori di Assad. L’altro, nella sua parte orientale, sarebbe a prevalenza sunnita, forse governato dall’Isis. Un terzo mini-Stato comprenderebbe l’area occupata dai curdi. Essi non hanno rivendicato l’indipendenza da Damasco, ma solo una larga autonomia. Probabilmente, si unirebbe allo Stato alawita/cristiano/druso. Negoziati con Mosca su tale soluzione sono certamente già in corso. Per i curdi siriani, il sostegno di Mosca potrebbe rafforzare anche quello di Washington.

La creazione di un mini-Stato o regione autonoma curdo-siriana influirà anche sul progetto dell’unità della nazione curda in un solo Stato, sostenuto dai curdi-iracheni del Krg e da Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk. Nonostante i meriti acquisiti dai curdi per la loro lotta contro il Califfato, tale progetto, che riprenderebbe le linee tracciate nel Trattato di Sèvres, incontrerebbe l’opposizione dei quattro Stati in cui è divisa la nazione curda. Scatenerebbe una serie di conflitti che diventerebbero rapidamente ingestibili. La comunità internazionale e gli stessi Usa non sono perciò disponibili a mettere in discussione la divisione del Medio Oriente in Stati, seguita al collasso dell’impero ottomano. Molti – tra cui Erdogan e Massoud Barzani, il capo del Krg – criticano gli accordi Sykes-Picot, ma tutti temono di aprire un “vaso di Pandora”. Rischierebbe di essere travolti. Meglio limitarsi per tutti all’autonomia dei curdi-siriani e perseguire soluzioni federali negli Stati attuali.

mediterraneo daghestan, Russia, Putin

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