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Vi sono alcune cose che Virginia Raggi dovrebbe chiarire prima di domenica. Lo dovrebbe fare per consentire ai romani di votare in assoluta tranquillità e non nel timore di firmare una cambiale a favore di uno sconosciuto creditore. Il tema è quello del cosiddetto “codice di comportamento” che la stessa ha firmato, impegnando tutta la futura squadra di governo della città, nell’eventualità di una sua vittoria. Del resto i futuri consiglieri quel documento lo avevano già sottoscritto, al momento della loro candidatura.

La prima domanda riguarda Roma. Perché quel codice deve valere solo per Roma e non per le altre città. In generale il codice di comportamento di un movimento ha carattere universale e non circoscritto. Nel caso specifico, invece, vale solo “per i candidati eletti del Movimento 5 stelle” – come recita il titolo – “alle elezioni amministrative di Roma 2016”. Quale è il motivo di questa esclusività? I romani sono, forse, figli di un dio minore? Recano nel loro Dna i cromosomi di un possibile tradimento? Sono talmente inaffidabili, da richiedere un supplemento di sanzioni?

Secondo elemento. Quale è la portata effettiva dell’obbligazione? Nel documento, imposto ai candidati, si parla di “impegno etico”. Espressione anche nobile, da un punto di vista politico, ma meno cogente da un punto di vista giuridico. Se a seguito di una delle inadempienze previste dal codice si dovesse finire in tribunale, non giureremo sul fatto che quell’impegno possa tradursi in una multa di 150 mila euro a carico del trasgressore. Come pure è previsto. Se così fosse, allora, la firma di quel documento equivarrebbe a uno dei tanti specchietti per le allodole di cui sono piene le campagne elettorali.

Terzo dubbio. Il documento individua le possibili fattispecie criminose. Vale la pena analizzarle una per una. La prima riguarda l’eventuale condanna penale in primo grado. Nulla da eccepire. Si tratta solo di un rafforzamento della legge Severino. Più blande le conseguenze, nell’eventualità di una semplice iscrizione nel registro degli indagati. In questo caso sarà la “rete ovvero i garanti del Movimento” a decidere “nel superiore interesse della preservazione dell’integrità del Movimento 5 Stelle”. Anche in questo caso ci si può stare, vista la natura un po’ giustizialista dei figliocci di Beppe Grillo.

Ciò che invece è particolarmente ostico è quanto contenuto nella successiva lettera c). Dove si ribadisce la necessità che il codice etico sia rispettato. E fin qui va bene. Ma poi si parla di un “impegno assunto al momento della presentazione della candidatura nei confronti degli iscritti al M5S”, da parte del sindaco, assessori e consiglieri. Anche in questo caso la decisione circa la richiesta di dimissioni spetterebbe a “Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio” oppure “agli iscritti M5S mediante consultazione in rete”. L’interrogativo che sorge è il seguente: quale è questo impegno? Corrisponde al programma elettorale o è un protocollo aggiuntivo, per giunta segreto? E se così fosse, sarebbe coerente con lo stesso programma elettorale?

Come si vede i problemi non sono proprio di lana caprina. Credo che gli elettori abbiano il diritto di sapere per cosa sono chiamati al voto. Se quel programma elettorale, per quel che valgono i programmi nelle campagne elettorali, rappresenta comunque un vincolo al successivo agire dell’azione politica. Oppure se è solo un semplice richiamo per gli sciocchi. Tanto la sostanza vera è contenuta in accordi successivi la cui eventuale violazione comporta addirittura la sanzione teorica delle dimissioni. Dimissioni che dovrebbero, tra l’altro, avvenire al di fuori delle regole previste dallo Statuto di Roma Capitale. Come si vede un pasticcio. Al quale si può, tuttavia, rimediare, rendendo pubblico quanto sottoscritto dai candidati.

La cosa è tanto più necessaria, se si esamina l’articolo 2 dello stesso Codice. Qui si stabilisce che: “le proposte e gli atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento”. E poi? Se il parere fosse negativo, che succede? Come si risolverebbe l’eventuale conflitto? La disposizione è una delle tante norme “senza sanzioni”, di cui è cosparso il lastricato dell’ordinamento giuridico italiano. Servano a poco, ma complicano la vita. In questo caso certificano, purtroppo, una status di inferiorità da parte dell’eventuale futura Giunta romana. Non risponderà dei suoi atti all’Assemblea capitolina e quindi ai romani, ma agli esperti della Casaleggio Associati. Con un’aggravante, tuttavia. Quale è dovrà essere il parametro di riferimento? Il programma elettorale pubblico o l’impegno segreto dei candidati?
Sorvoliamo su altri aspetti, la cui valenza economica pubblicitaria è tuttavia evidente. Basti pensare che tutta la comunicazione istituzionale dovrà passare per il blog di Beppe Grillo.

Torniamo all’essenziale. Domenica prossima i Romani voteranno per Virginia Raggi o per un’entità misteriosa, rappresentata dallo “staff coordinato dai garanti del Movimento”? Voteranno dopo averne condiviso il programma elettorale, a suo tempo annunciato, o esiste un protocollo segreto che ne altera i relativi elementi? Siamo ancora nel campo della democrazia rappresentativa o viaggiamo verso un empireo esoterico dagli incerti confini? Dovremo saperlo, prima di poter esprimere, in modo consapevole, le nostre preferenze. A favore di uno dei due candidati.

Che cosa deve chiarire Virginia Raggi

Vi sono alcune cose che Virginia Raggi dovrebbe chiarire prima di domenica. Lo dovrebbe fare per consentire ai romani di votare in assoluta tranquillità e non nel timore di firmare una cambiale a favore di uno sconosciuto creditore. Il tema è quello del cosiddetto "codice di comportamento" che la stessa ha firmato, impegnando tutta la futura squadra di governo della…

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