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Navighiamo in un mare aperto e, spesso, sconosciuto. Novelli Ulisse ci agitiamo tra le onde di un progresso evolutivo inarrestabile in cui anche il mercato del lavoro conosce mutamenti profondi generati dal web 2.0 e dall’interdipendenza.

L’impatto di questi mutamenti si dispiega a macchia di leopardo e a velocità diverse. Per alcuni luoghi, per alcune città con “fabbriche” di saperi, la diffusione di nuove tecnologie vogliono dire crescita nella domanda di lavoro, più produttività, più occupazione e redditi più alti. Per altri luoghi senza centri di produzione della conoscenza, le nuove tecnologie hanno l’effetto opposto: disoccupazione e salari in calo. Siamo di fronte a una redistribuzione senza precedenti e in progressiva accelerazione di lavoro, professioni, popolazione, ricchezza. E la causa è sempre la stessa: l’interdipendenza generata dalle reti.

Anche le piramidi organizzative si appiattiscono progressivamente, come è già successo quando la digitalizzazione ha reso desuete molte figure professionali intermedie: i vertici della piramide potevano trasmettere gli ordini direttamente alla base senza doversi affidare a qualcuno che lo facesse per loro. L’unica possibilità di sopravvivenza era aggiungere valore e professionalità al proprio lavoro e alla relazione, ovvero fare quello che le tecnologie di dare in termini di valore aggiunto.

Ma se le componenti e le forze che stanno ridisegnando l’economia si dispiegano a livello globale, i loro effetti locali sui singoli territori sono profondamente diversi. Finora l’immissione di tecnologia nelle imprese è stata più che altro mera innovazione di processo, spesso con perdita di posizioni lavorative. Adesso, però, siamo in una nuova fase. La tecnologia non prende il posto dei lavoratori ma cambia il modo di lavorare.

È lo smart working. I confini spaziali e temporali si scompongono e si ricompongono su nuove coordinate, si dissolvono e si moltiplicano nella sfera evolutiva di un nuovo lavoro, un lavoro agile senza luoghi o confini. Lo smart working è il nuovo mattoncino elementare del capitalismo 2.0. Non è la stessa cosa lavorare in una fabbrica, in un centro di ricerca universitario o a casa propria davanti a un laptop o un iPad. Non è un problema di forma, è il risultato a essere diverso. Nello smart working, l’orizzonte è quello delle produzione di saperi, dell’innovazione permanente, della valorizzazione dei processi tecnologici, anche dei più semplici. E non quello della permanenza nel luogo di lavoro, dell’orario standardizzato e del salario collegato.

Un modo diverso di lavorare che non è più legato a uno spazio fisico e a orari prestabiliti. Ma solo alla nostra mente e alla nostra capacità di connessione. Addio alla scrivania: per lavorare basta un qualsiasi device e un collegamento a internet. L’ufficio è dove siamo noi. Anzi, l’ufficio siamo noi.

La persona che lavora in una logica smart risparmia del tempo, lavora in un ambiente meno stressante e meno rumoroso, è più motivato e, nella logica di un time management complessivo, è molto più produttivo. Ecco perché i numeri dello smart working sono la fotografia del suo successo. Nel 2015 il 17% delle società italiane ha avviato progetti di smart working, più del doppio dell’8% del 2014. La rivoluzione ha contagiato un po’ tutti: banche, aziende alimentari, big delle tlc, Comuni, provincie, aziende cosmetiche.

Ma orari flessibili e telelavoro sono solo il primo passo nella nuova era dello smart working. E il bello deve ancora venire. Anche il nuovo Ddl del governo ne chiarisce le caratteristiche: lo smart working non deve essere penalizzato in alcun modo, e deve godere di tutti i diritti fiscali, contributivi ed economici di chi esegue la stessa mansione in ufficio. Dunque, non più posto di lavoro fisso ma maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione ma soprattutto maggiore flessibilità di orario trai impegni di lavoro e vita privata. Tutte risorse di tempo, umane e finanziarie che le imprese possono mettere a disposizione di altri asset strategici di crescita e sviluppo.

Si lavora di più e si ha perfino più tempo libero. Anche perché un giusto bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro determina un minore tasso di assenteismo o ritardo sul lavoro. Un vero time management da capitalisti intellettuali ovvero da imprenditori delle proprie capacità intellettuali.

Essere sé stessi e parte dell’azienda sempre, comunque e dovunque. Una profonda trasformazione che cambierà tutto. La grande novità del mercato del lavoro del futuro.

Una versione di questo articolo è già stata pubblicata sull’Huffington Post. Ecco il link:

http://www.huffingtonpost.it/angelo-deiana/smart-working-lavoro-flessibile-telelavoro-_b_10453674.html

Smart working: l'ufficio siamo noi

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