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È caos in Tunisia. A poco più di cinque anni dallo scoppio delle Primavere arabe, che proprio in quell’area videro nascere il seme del malcontento e della rivolta, Tunisi è nuovamente attraversata da proteste per una situazione economica sempre più precaria, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 15,3% e raggiunge un picco del 30% tra i più giovani.

MALESSERE ECONOMICO E ALIENZIONE DEI GIOVANI TUNISINI

Nel dicembre del 2010 fu Mohamed Bouazizi ad ammazzarsi in piazza per protestare contro la disperata condizione di chi come lui era senza lavoro. Lo scorso 16 gennaio è toccato al giovane insegnante disoccupato, Ridha Yahyaoui. Per la stessa ragione. Fatti che dimostrano – notano diversi osservatori – cosa accade quando non si riesce a far fronte al malessere economico, all’alienazione e alla frustrazione dei giovani del Nord Africa.

FERITI, ARRESTI E L’ORDINE DI COPRIFUOCO

In una settimana di scontri feroci tra polizia e manifestanti, al suono di slogan che invocano “Lavoro, libertà e dignità”, si contano 59 agenti di polizia e 40 manifestanti feriti e almeno 19 persone arrestate per i disordini. Nel tentativo di arginare questa situazione turbolenta e pericolosa, nei giorni scorsi il ministero dell’Interno tunisino ha anche imposto un coprifuoco, in vigore dalle otto di sera alle cinque di mattina.

KASSERINE E TUTTE LE ZONE INTERESSATE DALLE PROTESTE

Epicentro della protesta esplosa domenica scorsa contro le politiche economiche del governo è la città di Kasserine, una delle città più povere della Tunisia – dove il 28enne Ridha Yahyaoui è morto fulminato da un cavo dell’alta tensione di un pilone elettrico -, e poi si sono rapidamente estese nel resto del Paese fino a raggiungere Tunisi. Nella capitale la situazione è tesa nel quartiere Cité Etadhamen dove nella notte tra il 21 e il 22 gennaio sono state arrestate 16 persone perché ritenute responsabili di atti di vandalismo. Ci sono stati scontri anche in altre zone della città: a Sejoumi, Sidi Hassin, Mnihla e Intilaka sono stati saccheggiati diversi negozi e una banca. Ora la situazione è tornata sotto controllo, con le forze di sicurezza e l’esercito a presidiare l’area. Cortei e sit-in si sono registrati anche a Tajerouine, Kairouan, Gafsa, Sfax Douz, Biserta e Sousse. Le manifestazioni complessivamente interessano 16 dei 24 governatorati del paese e continuano anche durante il giorno.

LE PAROLE DEL PRESIDENTE A STEFANIA CRAXI

L’ambasciatore italiano a Tunisi Raimondo De Cardona ha sottolinea le parole del presidente tunisino Essebsi a Stefania Craxi (qui il resoconto di Paola Sacchi per Formiche.net nell’incontro avvenuto oggi a Tunisi in occasione dell’anniversario della morte di Bettino Craxi) secondo il quale gli scontri che hanno ripreso a incendiare il Paese non sono di natura politica, ma “economica e sociale”.

LE TESTIMONIANZE DEI MANIFESTANTI

«Dal 2011, non è cambiato nulla a Kasserine, se non che ci sono più poliziotti», ha spiegato a Libèration Tlili Chams Eddine, un giovane informatico di 30 anni. «Giovedì il governo ha annunciato la creazione di 5.000 posti di lavoro – ha continuato – provocando un afflusso ancora maggiore davanti al governatorato prima che l’annuncio fosse smentito. Non siamo stupidi, sappiamo che ci sono posti di lavoro, personalmente non me ne andrò di qui senza una promessa di lavoro». «Ero lì nel 2011 – ha detto il giovane neolaureato Ibrahim Ben Khalifa – oggi siamo molto più scoraggiati di allora perché siamo testimoni di cinque anni di promesse non mantenute. Per questo dico che si stava meglio sotto Ben Ali».

LA MAPPA POLITICA

Ma, come riporta Francesco Battistini, inviato del Corriere della Sera a Tunisi, la protesta ormai non è più solo quella dei disoccupati. «Ci sono partiti — dice il governo — che distribuiscono soldi e pneumatici ai manifestanti», e il riferimento fin troppo chiaro è ai salafiti, alla galassia ultra-islamista che lavora sottotraccia nelle banlieue e nelle campagne. Nessuno parla di Ennahda, i Fratelli musulmani che hanno fatto finora una scelta di «responsabilità apparente», evitando un’opposizione troppo dura al governo. Ma la Fratellanza tunisina ha tante anime e non è mai detto quale prevarrà in futuro, né «chi siano — sospettano fonti di polizia — le persone che escono la notte col cappuccio».

VERTENZA COSTITUZIONALE

Secondo Le Courrier International la nuova Costituzione tunisina rappresenta «un indiscutibile successo, ma nulla è stato fatto per migliorare la vita quotidiana dei cittadini, soprattutto in campo socio-economico. Le autorità continuano a gestire questo settore vitale con un approccio antiquato che è stato all’origine stessa della rivoluzione. Nulla è stato fatto per dare speranza ai giovani che languono in condizioni di povertà,  disoccupazione e frustrazione».

L’annuncio fatto lo scorso 20 gennaio di voler integrare 5.000 disoccupati, regolarizzare la situazione di 1.400 persone, al fine di garantire il finanziamento di microprogetti con un investimento di 6 milioni di dollari e trasformare le terre collettive, ha «solo un effetto anestetico». Per Le Courrier International «è necessario un piano di sviluppo vero e proprio, una visione globale basata su criteri qualitativi e quantitativi. Niente di tutto questo è all’orizzonte».

LO SPETTRO ISIS

La situazione tunisina, già instabile per ragioni interne, è ulteriormente peggiorata a causa degli attacchi terroristici compiuti nel 2015 contro obiettivi turistici: a marzo un attentato al museo del Bardo, a Tunisi, provocò la morte di 24 persone e a giugno 39 persone rimasero uccise in un attentato a un resort di Susa, sul Golfo di Hammamet. Senza contare quello dello scorso 25 novembre, quando lo Stato Islamico ha compiuto un attacco contro le guardie presidenziali a Tunisi. L’industria turistica, che dà lavoro a quasi 400 mila tunisini, è stata pesantemente colpita e decine di hotel hanno registrato un drastico calo delle prenotazioni, vedendosi costretti a chiudere in anticipo rispetto al termine della stagione turistica.

TUNISIA: «L’UOMO MALATO DI JIHADISMO» NEL MAGHREB

Del testo, spiega in un’analisi Le Monde, La Tunisia è anche uno degli stati più esposti alle infiltrazioni dello Stato islamico. In primis a causa della presenza gruppo jihadista Ajnad Al-Khilafa composto da jihadisti che avevano lasciato al-Qaeda dopo la proclamazione del Califfato nel mese di giugno 2014 e che opera nella zona montuosa della Tunisia occidentale. Secondo una fonte della sicurezza, la Tunisia è «l’uomo malato di jihadismo» nel Maghreb. Oltre ai militanti che operavano già all’interno del territorio tunisino, molti jihadisti provenienti da Libia e Algeria hanno varcato i confini dai paesi vicini per colpire all’interno del paese. Gruppi dispersi che rendono complesse operazioni contro insurrezione. Inoltre, lo Stato Islamico riscuote sempre più consensi da parte della popolazione più radicalizzata. Dato, se si può, ancor più preoccupante.

Cosa succede in Tunisia fra proteste e Isis

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