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Ormai è un fatto pubblico e ufficiale che siamo entrati dell’anno giubilare. Ieri il Santo Padre ha inaugurato simbolicamente e realmente il percorso della misericordia che la Chiesa vivrà a Roma a partire da martedì prossimo, festa dell’Immacolata.

Il Papa ieri non sembrava preoccupato di dover spiegare troppo del senso che egli intende dare a questi dodici mesi intensissimi per la cristianità, per Roma e per il mondo intero. Nel suo stile, Francesco farà parlare i gesti, anche le parole, ma lo farà progressivamente e all’interno della concretezza delle situazioni.

Tale modo di essere è spiegato eloquentemente dalla tranquillità e soddisfazione che Bergoglio fa trapelare quando può realmente compiere ciò che dice. Ed essere nella Repubblica Centrafricana, in questa ultima tappa del suo viaggio apostolico in Africa, già di per sé basta a esprimere il valore e il significato della misericordia cristiana: stare con i poveri, e starci bene, senza superfettazione e senza provare disagio.

Questo è un tratto veramente caratteristico della fede che il Papa incarna ed interpreta anche materialmente, oltre che intellettualmente.

I prossimi mesi saranno sicuramente definiti da una totale corrispondenza e affinità intima e personale con il mondo e i suoi drammi.

Stamani nella messa celebrata a Bangui, Francesco ha affrontato nuovamente e di petto la questione interconfessionale, che sappiamo bene quanto sia al centro della guerra mondiale in corso: un conflitto duro, frammentario, il quale tuttavia sta coinvolgendo Paesi di radice culturale diversa, toccando le sensibilità religiose collettive presenti nelle grandi fedi monoteiste.

Il Papa ha spiegato, ringraziando i leader delle altre religioni, che non è possibile amare Dio senza desiderare la pace. Non è possibile avere una fede senza una spiritualità aperta e accogliente. Il Tu divino è il Tu dell’altro, dell’altra persona che s’incontra, del prossimo, e non può mai spingere qualcuno contro se stesso e chi gli sta accanto.

Ecco perché, in fin dei conti, il credente è sempre un seminatore di pace, essendo mosso da un sentimento di condivisione e di apparenza al disegno creativo che che accomuna tutti gli esseri umani.

La risposta al terrorismo, che è un atto sempre politico, deve essere politico. Ma il rimedio culturale alla semina di odio appartenente di diritto e di fatto alla responsabilità dei rappresentanti delle religioni.

Se dunque non potevano esserci dubbi su questo sentire di Francesco, è ormai chiaro che il Giubileo della misericordia è la risposta spirituale più profonda e giusta che potesse essere data contro qualsiasi tentazione al conflitto di civiltà.

Le identità spirituali sono identità grandi, importanti, perché salvaguardano la tendenza universale che si raccoglie in ogni particolare tradizione civile.

Un mondo chiuso desidera religioni chiuse in lotta. Un mondo aperto necessita di religioni invece ben radicate in se stesse ma spalancate alla pace.

Il marchio di questo universalismo è l’amore, la misericordia e lo sguardo dell’altro che esprimono il vero valore del proprio vivere, esistere e volere personale.

Francesco, in fin dei conti, in Africa ha testimoniato che questo Giubileo appartiene a tutti perché tale è essenzialmente il cuore della visione cristiana della storia e della percezione umanizzante che la Chiesa vuole avere. Un mondo diviso come l’attuale può non distruggersi esclusivamente se nell’animo dei popoli sopravvive questo anelito a Dio che allarga l’orizzonte di ciascuno includendo quello dell’altro e degli altri. E il cristianesimo perde se stesso se smarrisce la misericordia.

In definitiva, unicamente laddove il sacro resta sacro, ogni fede resta immune dalla tentazione di trasformare lo spirito in potere, e il potere in violenza.

Il Giubileo, l'Africa e la guerra mondiale a pezzetti

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