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l Super Sabato e, poi, il mini Super Martedì non sono stati giorni allegri per Hillary Clinton; e possono avere cambiato l’inerzia della campagna, fin qui quasi ineluttabilmente a suo favore. Assistiamo a due movimenti uguali e contrari, fra i democratici e i repubblicani: Donald Trump annacqua le sue posizioni populiste e comincia a recitare da moderato; l’ex first lady, invece, deve inseguire per sentieri di sinistra il suo rivale Bernie Sanders.

Lo showman è un carrarmato: non lo ferma nessuno, anche se resta lontano dalla nomination, se si conta il numero dei delegati ne ha poco più di un terzo dei necessari -. L’ex segretario di Stato, invece, inciampa in tutti gli ostacoli, una la vince e una la perde, ma è ben oltre la metà dei delegati che ci vogliono per la nomination e, se vince martedì in Florida e Ohio, due Stati grossi, dove chi è primo prende tutti i delegati, vede il traguardo.

Se vince: è avanti nei sondaggi, con un rapporto di forze dell’ordine di 2 a 1, ma l’ex first lady s’è già fatta rimontare e il senatore del Vermont ha dalla sua l’entusiasmo. Inoltre, a livello nazionale, Hillary resta prima, ma con un vantaggio risicato di sette punti per un rilevamento recente.

Per la Clinton, le ultime non sono state tappe allegre: ha vinto le primarie in Louisiana e Mississippi confermandosi la regina del Sud, ma ha perso le assemblee – che le riescono proprio male: non ne azzecca una – in Kansas, Nebraska e Maine e ha perso pure le primarie nel Michigan, dove pure era favorita (d’un soffio, ma le ha perse).

Un brutto colpo, se dopo il New England pure la Rust Belt e il MidWest le preferiscono Sanders. L’elettorato democratico bianco, anche etnico – il Michigan è Stato di forte immigrazione slava -, ha voglia di riscatto e s’abbarbica ai messaggi di sinistra di Nonno Bernie, anche se tra zia Hillary e un repubblicano non dovrebbe poi esitare a votare l’ex first lady.

Specie se il repubblicano sarà Trump. Cosa che, per quanto inverosimile, è sempre più probabile: dopo gli ultimi voti, ha vinto in 15 Stati – martedì in Michigan, Mississippi e Hawaii -, lascia qualche briciola a Ted Cruz – martedì, l’Idaho -, mentre Marco Rubio non vince (quasi) mai – ha due successi, finora – e fa persino peggio di John Kasich, che in Michigan finisce testa a testa con Cruz sul podio.

Per il senatore della Florida e il governatore dell’Ohio martedì 15 è l’ultima chiamata: o vincono ciascuno nel proprio Stato o devono lasciare. E i sondaggi non sono per loro incoraggianti: Trump è davanti, nettamente in Florida, meno in Ohio.

In termini di delegati, la sconfitta in Michigan non è gravissima, perché i 148 delegati democratici dello Stato vengono ripartiti con la proporzionale, così come i 41 del Mississippi, dove Hillary è sopra l’80%. E Michael Bloomberg si tiene in disparte per favorirla. Ma il messaggio e che Sanders fa più presa di lei dove la crisi ha più lasciato il segno: l’economia del Michigan si dice sia stata “rasa al suolo”.

La Clinton, parlando ai supporter a Cleveland, dopo la sconfitta nel Michigan e prima del dibattito con Sanders a Miami la scorsa notte, non fa riferimento ai risultati ma attacca i repubblicani, la cui “retorica scende sempre più in basso”, mentre “la posta in gioco in queste elezioni diventa sempre più alta. La corsa per la presidenza non dovrebbe essere fatta di insulti, ma di risultati”. E il capo della sua campagna John Podesta trova pure “irrispettoso” i toni di Sanders verso l’ex first lady.

Trump, invece, festeggia a modo suo, cioè con tracotanza: “Chi mi attacca cade”, dice dei rivali, riferendosi a Rubio, che da qualche tempo ne ha fatto il suo bersaglio principale. E bolla la Clinton come “un candidato difettoso”, che gli sarà “facile battere” all’Election Day: “sono imbattibile – afferma -, se il partito si compatta dietro di me” (invece di mettergli i bastoni tra le ruote).

L’avvertimento è anche un’apertura: “Io sono un conservatore … non sto cambiando il partito … posso essere più presidenziale di chiunque…”. Anche l’establishment fa un passo: Paul Ryan, presidente della Camera, lo chiama e chiude uno dei tanti incidenti di questa campagna. Trump subito ne apre un altro con l’ennesima polemica per un presunto saluto nazista (che lui nega).

Lo showman dice: “Ho prevalso nonostante i 38 milioni di dollari in valore di orribili bugie” spesi contro di lui in spot vari. Esibendo prodotti del brand Trump, vini e bistecche compresi, scimmiotta Cruz che sostiene d’essere l’unico che può batterlo (“ma raramente ci riesce”), mentre Marco Rubio in versione “ostile” non ha funzionato. I sondaggi, però, dicono che Cruz lo sta avvicinando e che parte degli elettori lo giudicano “disonesto”,

Carly con Cruz, Schwarzy con Kasich – Carly Fiorina, ex aspirante alla nomination repubblicana e unica donna fra i candidati conservatori, ritiratasi il 10 febbraio, ex ceo di Hp, appoggia Cruz, texano come lei: i due si sono incontrati dopo la vittoria del senatore nell’Idaho. La Fiorina, nell’occasione, ha annunciato il suo voto, criticando sia Trump che la Clinton, due facce – ha detto – della stessa medaglia.

Invece, l’attore, ed ex governatore della California, Arnold Schwarzenegger sta con Kasich e lo dichiara con un video su Snapchat: “ha fatto un lavoro straordinario nell’Ohio e ha Washington c’è bisogno di una leadership di questo tipo”. Una volta si prestavano d’ambizioni presidenziali a ‘Schwarzy’, che, però, non può coltivarle, essendo nato in Austria come cittadino austriaco.

Tutte le ultime mosse di Clinton e Trump

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