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Il #graziepresidente twittato da Matteo Renzi a Sergio Mattarella, pur non sentendosi citato nel messaggio televisivo del presidente della Repubblica agli italiani, è incorso nel sospetto, a torto a ragione, di una sincerità pari all’ormai famosissimo hashtag #enricostaisereno. Che sempre lui, Renzi, fresco di elezione a segretario del Partito Democratico, e ancora in carica come sindaco di Firenze, inviò all’allora presidente del Consiglio Enrico, appunto, Letta. Destinato dopo qualche settimana ad essere sfrattato da Palazzo Chigi per lasciare il posto sempre a lui, Renzi.

Eppure il povero Letta jr, nipote dell’ottantenne Gianni, aveva contribuito all’elezione del nuovo segretario del suo partito standosene prudentemente alla finestra, forse troppo prudentemente, durante la scalata renziana al Nazareno, come viene chiamata per ragione toponomastica la sede del Pd. La stessa dove, propiziando la propria corsa anche al vicinissmo Palazzo Chigi, Renzi volle incontrare Silvio Berlusconi per stringere il noto patto che prese anch’esso il nome del Nazareno. Un patto infrantosi poco più di un anno dopo contro l’elezione proprio di Sergio Mattarella al Quirinale, tirato fuori da Renzi all’improvviso come il classico coniglio dal cilindro per soddisfare l’inquieta sinistra interna di partito. Che gli contestava proprio il patto del Nazareno con Berlusconi.

Sono, o sembrano, vecchie storie, specie considerando la velocità con la quale le cose cambiano anche, o soprattutto, in politica. Ma si ha la sensazione che siano già cambiati pure i rapporti fra Renzi e Mattarella, d’altronde molto diversi fra loro per temperamento e stile, oltre che per età. Tanto cambiati, che il capo dello Stato nel suo primo messaggio televisivo di Capodanno non ha citato, come si è detto, il capo del governo, che invece spesso e volentieri cita lui.

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Solo qualche giorno prima della sera di San Silvestro, e del messaggio augurale di Mattarella agli italiani, Renzi nella sua conferenza stampa di fine anno aveva indicato come passaggio cruciale di questo 2016 bisestile il referendum cosiddetto confermativo della riforma costituzionale, ormai arrivata alle ultime tappe del lungo e accidentato percorso parlamentare. Una riforma che il presidente del Consiglio considera tanto sua da avere esplicitamente legato il proprio destino politico all’esito della verifica referendaria in ottobre.

Pertanto sarebbe crisi di governo se Renzi dovesse perdere un referendum sprovvisto peraltro dell’ombrello protettivo dei referendum abrogativi delle leggi ordinarie, i cui risultati sono validi solo se a votare va la maggioranza degli aventi diritto al voto. E che crisi governativa sarebbe per il suo gestore, cioè per il capo dello Stato, costretto – come si è già osservato su Formiche.net – a interloquire non si sa più con quanti gruppi parlamentari, vista la frammentazione di quelli formatisi dopo le elezioni del 2013. Né saprebbe con quali regole mandare eventualmente in anticipo gli elettori alle urne, perché ce ne sono di certe e nuove solo per la Camera. Quelle per il Senato, ancora elettivo ed essenziale per la fiducia al governo con la riforma istituzionale bocciata, sarebbero le vecchie, già compromesse dai tagli apportativi dalla Corte Costituzionale, e comunque destinate a produrre un Parlamento zoppicante.

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Di fronte ad una simile prospettiva si capisce perché Mattarella preferisca rimuovere il problema, come ha fatto rinunciando a parlare nel suo messaggio di Capodanno sia di Renzi sia, o soprattutto, della scadenza referendaria messa così drasticamente sul tappeto politico e istituzionale dal presidente del Consiglio. E preferendo segnalare, del 2016, i 70 anni che la Repubblica festeggerà il 2 giugno. A ridosso, peraltro, di un turno particolarmente impegnativo di elezioni amministrative, in città come Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli. Un turno politicamente rischioso per Renzi e, guarda caso, appena indicato nel Pd come un passaggio ancora più significativo del referendum costituzionale da Pier Luigi Bersani, e da quel che rimane delle minoranze del partito.

 

Al momento, quello fra Mattarella e Renzi, o viceversa, si può anche considerare come un possibile conflitto d’interesse istituzionale, e politico. Ma potrebbe anche diventare un conflitto reale. Che storicamente non sarebbe d’altronde il primo, casuale o voluto, fra i presidenti della Repubblica e del Consiglio. Un conflitto che Francesco Cossiga, al Quirinale, entrato mediaticamente in collisione nel 1991 con Giulio Andreotti, in azione a Palazzo Chigi, liquidò dicendo con la ruvidità di cui era capace che il capo dello Stato, forte del suo mandato di 7 anni conferitogli dalla Costituzione, “resta”‘. Mentre il capo del governo “va via”.

Che cosa sta succedendo fra Renzi e Mattarella?

Il #graziepresidente twittato da Matteo Renzi a Sergio Mattarella, pur non sentendosi citato nel messaggio televisivo del presidente della Repubblica agli italiani, è incorso nel sospetto, a torto a ragione, di una sincerità pari all'ormai famosissimo hashtag #enricostaisereno. Che sempre lui, Renzi, fresco di elezione a segretario del Partito Democratico, e ancora in carica come sindaco di Firenze, inviò all'allora…

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