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Articolo estratto dalla Geopolitical weekly del Centro Studi Internazionali

Lo scorso 9 novembre, il Primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha pesantemente criticato l’azione militare russa in Siria, affermando che il Cremlino continua a svolgere una sistematica opera di pulizia etnica ai danni della popolazione sunnita. Le accuse di Ankara fanno riferimento alla conduzione della campagna aerea russa, prevalentemente diretta alla distruzione di obbiettivi nelle aree settentrionali e orientali della regione di Latakia. In questa regione sono presenti diverse formazioni ribelli, tra le quali Ahrar al-Sham (l’Esercito della Conquista), conglomerato di milizie salafite tra le quali Jabhat al-Nusra, e diverse brigate autonome, incluse la Brigate Turcomanne Siriane (BTS). Queste ultime usufruiscono del sostegno logistico e politico turco anche a causa della prossimità linguistica, etnica e culturale che le lega ad Ankara.

Nel rigettare le accuse turche, Mosca ha sottolineato come le proprie operazioni militari in Siria siano concentrate nell’eliminazione della minaccia terroristica, che il Cremlino considera inquadrabile sia nello Stato Islamico sia in tutti quei gruppi ribelli assimilabili ad un’ideologia jihadista o salafita o comunque contrari a qualsiasi forma di dialogo con Damasco. Le dichiarazioni di Davutoglu continuano a manifestare quel clima di profonda tensione tra Mosca ed Ankara sorto in seguito all’abbattimento di un cacciabombardiere SU-24 impegnato in un’operazione in Siria lo scorso 24 novembre.

Infatti, i due Paesi appaiono agli antipodi sul dossier della crisi siriana, con la Turchia decisa a favorire la destituzione di Bashar al-Assad e la crescita della propria influenza in Medioriente e la Russia, al contrario, incline a proteggere il Presidente siriano e a preservare sia lo status quo sia i propri interessi nella regione. Ad inasprire ulteriormente i toni del dibattito russo-turco ci sono state le accuse di Mosca circa il presunto favoreggiamento di Ankara allo Stato Islamico. Infatti, secondo l’intelligence del Cremlino, le autorità turche non solo favoriscono l’afflusso di miliziani e armi alle brigate dello Stato Islamico, ma potrebbero essere invischiate nel traffico di petrolio e beni archeologici perpetrato dall’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi.


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