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Alcuni funzionari della Difesa americana hanno raccontato all’editorialista di Bloomberg View Eli Lake che l’Iran avrebbe iniziato il ritiro di vari contingenti delle Guardie rivoluzionarie, da tempo schierate sul suolo siriano al fianco del regime. Una notizia che, se confermata, costituirebbe un momento importante per la crisi siriana.

Perdite illustri. Il motivo citato sarebbe la conta dei danni subiti, che sta cominciando a diventare piuttosto corposa, con perdite sul campo di diversi combattenti e soprattutto con la morte di un alto numero di comandanti di vario ordine e grado fino ad arrivare all’uccisione, il 9 ottobre, del capo delle intere operazioni in Siria, Hossein Hamedani, generale che per quanto riguarda le attività sul territorio siriano era secondo soltanto a Qassem Suleimani. Il regista delle operazioni estere dei Guardiani della Rivoluzione, pare sia stato ferito anche lui nei pressi di Aleppo (l’intelligence americana sta ancora cercando di capire la veridicità dell’informazione, avvolta nel mistero come ogni cosa che riguarda Suleimani).

La provocazione. La scorsa settimana, il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon al Forum Saban che ogni anno la Brookings Institution organizza per mettere a confronto le visioni di Stati Uniti ed Israele sul Medio Oriente, aveva lanciato una provocazione: definendo fallimentare il piano d’intervento russo per riportare l’area di Idlib sotto il controllo del regime, aveva incolpato per i risultati negativi della campagna sia l’esercito siriano, definito «incompetente», sia gli iraniani e la loro «mancanza di determinazione».

I NUMERI

Le parole di Yaalon nascondono per alcuni osservatori una distanza esistenziale tra Israele e Iran, e dunque sono anche un pungolo contro Teheran, anche se in effetti più volte ultimamente è stata segnalata dagli analisti l’inconsistenza dei combattenti iraniani sul campo in Siria: sfiancati da anni di conflitto, sfiduciati, disinteressati alle sorti di un Paese non proprio.

In estate Suleimani, in viaggio a Mosca violando le restrizioni delle sanzioni internazionali, aveva concordato con il ministero della Difesa russo l’invio di altre Guardie rivoluzionarie (e guerriglieri Basij) come impegno per la partnership militare che si sarebbe configurata definitivamente a partire da fine settembre, con l’intervento russo al fianco di Damasco (e dunque dell’Iran). Ad ottobre il Wall Street Journal aveva raccolto dati secondo cui i c’erano 7mila membri del Corpo della Guardie rivoluzionarie in Siria: poco dopo, l’appena nominato capo delle Forze armate americane Joseph Dunford aveva ridimensionato il numero a 2mila in Siria e altri mille in Iraq. I funzionari che hanno parlato in anonimato con Bloomberg dicono che adesso gli iraniani non sono più di 700. L’esercito siriano senza la presenza degli iraniani, della milizie sciite mosse dall’Iran e dal filo-iraniano Hezbollah non ha modo di affrontare la ribellione. E se questa guerra si trascina così a lungo, fanno notare gli esperti, è anche grazie alla presenza di queste forze combattenti al fianco del regime.

SEGNALI LATERALI

Sotto l’ottica del “ritiro” iraniano può essere letta la notizia che sta girando da qualche giorno, secondo cui la Russia ha intenzione di costruire un’altra grande base operativa nei pressi di Homs (Siria centrale) per ampliare la propria presenza sul terreno. Queste informazioni sono state smentite dal Cremlino, così come non sono confermate le indicazioni che hanno segnalato la presenza di uomini della fanteria russa direttamente impegnati in battaglia (anche in questo caso, l’aumento del coinvolgimento potrebbe legarsi al calo della presenza iraniana).

Il Cremlino ha smentito anche le notizie sull’impiego di soldati a terra, ma queste dichiarazioni arrivano dallo stesso luogo da cui una settimana prima dell’inizio dei raid aerei sulla Siria, si minimizzava il valore delle attività  russe sul suolo siriano. Ora, a distanza di circa due mesi dall’inizio delle operazioni, il sottomarino Classe Kilo “Rostov sul Don” è stato spedito da Mosca nel Mediterraneo per lanciare missili da crociera su vari obiettivi in Siria e il capo del Cremlino si augura che «le armi nucleari non si rivelino necessarie».

IL CONTESTO

Da quando la Russia è entrata di fatto nel conflitto siriano, i rapporti con Teheran, sul campo, si sono deteriorati. La presenza russa al fianco di Bashar al-Assad non è una novità del conflitto, ma è un’ombra che si osserva fin dal 2011; così come quella iraniana, che ha avuto però per lungo tempo un ruolo predominante. L’intervento russo può aver diluito la posizione occupata finora dalla Repubblica islamica, che in questa fase si è trovata costretta a muoversi subordinata a Mosca. Un ruolo che forse, sottolineano alcuni commentatori, il potere teocratico iraniano giudica stretto, visto che veglia sulle sorti degli sciiti (come sono i governanti di Damasco) nel mondo. Vladimir Putin si è schierato da sempre al fianco del regime, ma la sua intenzione è quella di mantenerne viva la struttura (che ha permesso l’alleanza strategica) più che l’attuale frontman: cioè, la Russia, pur di avere peso nel futuro della Siria sarebbe anche disposta a rinunciare ad Assad e alla cerchia alawita, mentre l’Iran vuole mantenere intatto il cordone filo-sciita, perché è anche per questo che la sua alleanza regge.

MERCE DI SCAMBIO

Secondo altri analisti, invece, l’inizio di un parziale ritiro di uno dei grandi benefattori di Assad, l’Iran, può però essere leggibile anche come un segnale nei confronti dell’Occidente. A inizio gennaio gli Stati Uniti cominceranno a rimuovere le sanzioni secondo quanto previsto dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano firmato a luglio. Intervistato per un reportage dal sito Quartz, il consigliere per gli Affari esteri del presidente del Parlamento iraniano, Hossein Sheikholeslam, ha spiegato che «ci sono ambiti, come quelli del petrolio e del gas, dove non possiamo semplicemente cavarcela da soli senza gli americani. Non possiamo farcela senza Halliburton. Loro hanno le tecnologie più avanzate, e noi abbiamo la necessità di sfruttarle». La Halliburton è una delle più grandi aziende di tecniche petrolifere del mondo, con vari legami anche nel settore militare. Sotto quest’ottica il ritiro di parte delle Guardie rivoluzionare dalla Siria, può rappresentare “merce di scambio” (un altro esempio del peso geopolitico che il conflitto siriano ha assunto).

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