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L’oro nero sta diventando per Vladimir Putin un buco nero. Il crollo del prezzo del petrolio ha contribuito alla recessione dell’economia russa, ma soprattutto ha minato i fondamentali del bilancio federale russo, costringendo lo zar a percorrere una strada che mai avrebbe voluto imboccare, quella delle privatizzazioni.

Per far fronte ai minori proventi dalla vendita di petrolio, come scrive il Financial Times, e tappare i buchi che si sono aperti nel bilancio della Federazione Russa, il presidente sta valutando la vendita degli asset statali, cioè le partecipazioni in alcune delle più grandi aziende del Paese: un piano da un trilione di rubli, circa 12 miliardi di euro, da incassare in due anni.

L’ipotesi di privatizzare, però, sta trovando parecchie resistenze tra i manager delle società coinvolte, tanto che nell’élite russa sta nascendo un insolito fronte contro le scelte di Putin, il quale non vorrebbe certo perdere il controllo sull’economia della Russia.

LE SOCIETA’ IN VENDITA

Ieri Putin ha convocato al Cremlino un incontro sulle privatizzazioni per discutere con i suoi ministri il piano per cedere alcuni asset statali. Le aziende che potrebbero essere coinvolte sono le compagnie petrolifere Rosneft, Transneft e Bashneft, la banca VTB, la compagnia aerea Aeroflot, la regina dei diamanti Alrosa, Rostelecom e anche le Ferrovie russe.

Putin ha già messo alcuni paletti nel percorso di privatizzazione: lo Stato manterrà il controllo delle aziende che ritiene strategiche e gli investitori stranieri che vogliono acquisire asset statali dovranno avere base in Russia e sottostare alla giurisdizione russa (oltre che pagare le tasse a Mosca).

Venerdì scorso, invece, in un incontro con il ministro delle Finanze Anton Siluanov, con il titolare del dicastero del commercio e dell’industria Denis Manturov e con la governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiulina, Putin ha posto il suo veto alla privatizzazione della Sberbank, la più grande banca della Russia guidata dall’ex ministro dell’Economia Herman Gref, l’uomo che ha disegnato il programma economico di Putin per le sue prime elezioni presidenziali e che da ministro ha poi traghettato la Russia all’interno del Wto.

IL QUADRO ECONOMICO

Le privatizzazioni paiono non essere più rinviabili. Anzi, più di un osservatore sostiene come la Russia sia in ritardo. Il bilancio 2015 è stato costruito su un prezzo medio del petrolio di 82 dollari al barile e oggi il greggio viaggia attorno ai 30 dollari; mentre il bilancio 2016 era stato impostato con un rapporto deficit/Pil sotto al 3% ma con un prezzo del petrolio di 50 dollari al barile. C’è poi il rublo che ha perso valore (negli ultimi tre anni una flessione del 150% nei confronti del dollaro) e il cui cambio potrebbe infrangere la soglia psicologica dei 100 rubli per un dollaro.

I dati economici presentati dal ministro dello sviluppo economico Alexey Ulyukayev a Putin indicano una contrazione del Pil russo del 3,9% nel 2015, leggermente peggio delle previsioni (3,7/3,8%), mentre i Fondo Monetario Internazionale indica per il 2016 un’ulteriore riduzione del Pil russo dell’1%.

LE ALTRE MISURE

E così a Mosca la parola d’ordine è tagliare. Durante il recente Gaidar Economic Forum il governo di Dmitri Medvedev ha annunciato un taglio del 10% al bilancio federale 2016. Una misura che, assieme alle privatizzazioni, dovrebbe tenere i conti in ordine, almeno per quest’anno. Ma non sono gli unici tagli attuati: nel 2015 si è contratta la spesa per istruzione e sanità, e diversi colossi federali hanno visto ridurre il budget a disposizione, come l’agenzia spaziale Roscosmos.

Tagli e privatizzazioni sono comunque misure d’emergenza, è evidente che per la Russia è fondamentale che il prezzo del petrolio torni a salire. E così il ministro dell’energia Alexander Novak sta facendo pressioni sull’Arabia Saudita perché, nell’ambito dell’Opec, si arrivi a decidere una riduzione condivisa della produzione di petrolio (nel 2015 Mosca ha registrato un’estrazione record di 10,7 milioni di barili al giorno). L’ipotesi al vaglio è una riduzione tra il 5 e il 10%, ma sul possibile accordo pesa l’ingresso sul mercato del petrolio iraniano.

LE PERPLESSITA’

Tornando alle privatizzazioni, le perplessità non mancano. Igor Sechin, amministratore delegato di Rosneft e molto vicino a Putin (anche lui è un ex agente segreto), è convinto il processo debba essere posticipato in attesa di un rialzo dei prezzi del petrolio.

Al Forum economico mondiale di Davos il presidente di VTB Bank Andrey Kostin ha espresso alcuni dubbi: “Naturalmente spetta al governo decidere quando è il momento migliore per vendere – ha detto alla Cnbc – ma ora è difficile, viste le sanzioni, i prezzi del petrolio e la situazione economica generale”. “E’ il momento giusto per privatizzare, ma dobbiamo aspettare una stabilizzazione dei mercati”, gli ha fatto eco il presidente di Sberbank Herman Gref.

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